Ammaestrare un Leone? E' un'impresa ardua!

Sia i bestiari latini sia quelli in volgare si dilungano sul leone.
Alcuni lo presentano già come il ‘Re degli animali’ (rex animalium); altri, più numerosi, soltanto come il ‘Re delle bestie selvatiche’ (rex bestiarium).
Tutti, però, sono concordi nel farne il più forte degli animali terrestri. Da questo punto di vista non seguono le orme di Plinio, che attribuisce il titolo all’elefante, con cui inizia il libro VIII della sua Storia Naturale, dedicato ai quadrupedi. Isidoro di Siviglia, in compenso, quando parla delle bestie selvatiche, comincia con il Leone e lo definisce addirittura ‘Re’ (Rex).

Si tratta di una tradizione orientale, forse più iranica che indiana, a cui però gli autori greci e romani dell’Antichità classica non si erano rifatti, mentre era presente nei testi biblici, attraverso i quali penetrò poco a poco in Occidente.

La Bibbia parla spesso del leone, sottolineandone la potenza e il coraggio. Sconfiggerlo è una grande impresa: non per niente tutti i re e gli eroi dotati di forza eccezionale vengono paragonati a leoni. Tuttavia, dal punto di vista simbolico, si tratta di un animale ambivalente: c’è un leone buono e un leone cattivo. Nell’Antico Testamento, quest’ultimo è il più frequente. Pericoloso, crudele, brutale, scaltro, empio, incarna le forze del male, i nemici di Israele, i tiranni e i re malvagi, gli uomini che vivono nel peccato. I Salmi e i Libri dei Profeti gli assegnano un posto importante e lo descrivono come una creatura terribile da cui bisogna fuggire invocando la protezione divina: ‘Salvami dalle fauci del leone’ implora il salmista (Sal. 22.22)

Il Nuovo Testamento non è da meno, e arriva talvolta a trasformarlo in una creatura infernale. Ma esiste anche un leone biblico buono, che mette il suo coraggio a disposizione del bene comune e il cui ruggito è espressione della parola di Dio. Nei Proverbi (30.30) è considerato l’animale più forte, e nella Genesi (49.9) il simbolo della tribù di Giuda, la più potente di Israele. A questo titolo, è associato a Davide, alla sua discendenza e perfino e Cristo.

Quest’idea, in particolare, è condivisa dai Padri della Chiesa, anche se alcuni, come Agostino, nemico dichiarato di tutte le bestie feroci, vedono in lui un animale violento, crudele, tirannico, la cui forza non è al servizio del bene ma del diavolo; le sue fauci fanno pensare all’abisso infernale, e ogni combattimento contro Satana. La maggior parte dei Padri e degli autori cristiani – Ambrogio, Origene, Rabano Mauro – ha però un punto di vista diverso. Basandosi sul Nuovo Testamento e soprattutto sulle tradizioni orientali e sui Physiologus, vedono nel leone il ‘signore degli animali’, dunque un’immagine di Adamo o di Cristo. Contribuiscono così alla valorizzazione cristiana del leone, che trionfa nei bestiari del XII e XIII secolo.

Tutti i nostri bestiari, infatti, rifacendosi al Physiologus, attribuiscono al leone una dimensione cristologica. Ciascuna delle sue ‘proprietà’, ereditate per lo più dalle leggende orientali, viene messa in relazione con Cristo. Il leone inseguito che cancella con la coda le proprie tracce per disperdere gli inseguitori è Gesù che nasconde la propria divinità incarnandosi nel grembo di Maria; si è fatto uomo in segreto per meglio ingannare il diavolo. Il leone che risparmia la vita a un nemico sconfitto è il Signore che nella sua misericordia risparmia il peccatore pentito. Il leone che dorme con gli occhi aperti è l’immagine di Cristo nella tomba: la sua spoglia umana dorma ma la sua natura divina veglia. Il leone che con il respiro, il terzo giorno, ridà la vita ai suoi piccoli nati morti, è l’immagine stessa di Dio Padre e della Resurrezione.

Altre proprietà restano più enigmatiche, non essendo state commentate a sufficienza. Secondo i bestiari, il leone ha paura di un unico animale, il gallo bianco, e due cose sole lo spaventano, il fuoco e il cigolio delle ruote di un carro. Da dove viene questa credenza, presente già in Solino? Che senso ha? Non lo sappiamo. E poi, perché il gallo bianco, e solo lui, fa paura al leone? I bestiari non ce lo rivelano direttamente, ma ricordano che fu un gallo ad accompagnare per tre volte con il suo canto il rinnegamento di Pietro (associato al leone) e che, da allora, tutti i galli accompagnano con il loro verso lo scoccare delle ore del giorno in onore di Dio. Al crepuscolo, quando il gallo tace, scende la notte con il suo corteo di demoni malefici; la notte è nera, il gallo è bianco.

Il leone si distingue anche per altre caratteristiche, meno diffuse. Quando è arrabbiato, pesta per terra: è Dio che colpisce gli uomini per allontanarli dal male; castiga coloro che ama. Quando vuole andare a caccia, traccia un cerchio con la coda; tutte le bestie che vi entrano non vogliono più uscirne; il cerchio è il paradiso; la coda la giustizia divina; le bestie gli eletti chiamati in Cielo. Con l’uomo, e con tutti gli altri animali, il leone sa mostrarsi magnanimo. Come Dio, perdona coloro che si gettano ai suoi piedi. Le donne e i bambini non devono temerlo. Del resto, affermano diversi autori, il leone non mangia né le persone né le bestie, ‘tranne quando ha molta fame’. Ma, in questo caso, non gli piace mangiare da solo e divide le prede con i suoi ‘vassalli’. Ha la ‘munificenza’ di un signore. Inoltre, è un buon padre e un bravo sposo, fedele per tutta la vita alla leonessa. Ma se quest’ultima ‘viene meno al suo dovere in compagnia del leopardo’ – traditore per eccellenza – la punisce crudelmente. Infine, quando si sente prossimo a morire, morde la terra e piange per tre giorni di seguito.

Tutti i bestiari sottolineano il coraggio del leone, la sua generosità, il suo senso della giustizia, tutte virtù tipiche dei re. Nel Roman de Renart, i cui più antichi ‘rami’ sono contemporanei ai primi bestiari miniati, re Noble è dotato in abbondanza di tali qualità: il leone ha ormai soppiantato l’orso sul trono del re degli animali e, in questa sostituzione, testimoniata da numerosi documenti per tutto il corso del XII e XIII secolo, i bestiari hanno svolto un ruolo importante.

Allo stato selvatico, il leone scomparve presto dall’Europa occidentale, certo diversi millenni prima di Cristo. Per i giochi circensi, i Romani li facevano venire in grande quantità dall’Africa del Nord o dall’Asia Minore, a volte da ancora più lontano. Nell’Europa medievale, dunque, il leone non è più un animale indigeno da molto tempo. Tuttavia, agli uomini e alle donne dell’età feudale può capitare di vedere leoni vivi, non tutti i giorni, certo, ma forse meno raramente di quanto si possa pensare. C’erano infatti diversi personaggi che, per mestiere, mostravano al pubblico animali ammaestrati, spostandosi da una fiera all’altra, da un mercato all’altro; spesso, in mezzo ad una fauna relativamente diversificata, presentavano degli orsi e, di tanto in tanto, uno o più leoni. Questi ultimi erano vere stelle, e la gente arrivava anche da lontano per poterli ammirare. Accanto ai modesti serragli ambulanti ne esistevano di più grandi, spesso stabili, ma anche itineranti, al cui interno i leoni occupavano un posto di primo piano.

A lungo furono esclusivo appannaggio dei re, dei grandi signori e di qualche abbazia. A partire dal XIII secolo, alcune città, diversi capitoli cattedrali e qualche vescovo importante cominciarono ad imitarli. Non tanto per soddisfare la curiosità di un pubblico avido di vedere bestie feroci o insolite, ma piuttosto per esibire emblemi viventi, che solo i più potenti potevano permettersi di comprare, di nutrire, di regalare e di scambiarsi.

Se vedere un leone vivo, dunque, non era poi così raro nell’Occidente medievale, nemmeno in campagna, osservarne uno dipinto, scolpito, ricamato o modellato capitava, naturalmente, molto più spesso; quasi ogni giorno, in effetti, tanto numerose erano le immagini di leoni nelle chiese, nei palazzi, nei monumenti funerari, nelle opere d’arte e negli utensili più comuni. Che sia romanica o gotica, la chiesa mostra leoni dappertutto, all’esterno e all’interno, nella navata e nel coro, sui pavimenti, le pareti, i soffitti, le porte e le finestre: teste di leone, leoni interi o incrociati con altri animali, da soli o inseriti in una scena.

Nel ricco scenario del tempio cristiano, dove la parte riservata alle bestie è considerevole, i leoni scolpiti e dipinti abbondano. Così come abbondano negli ambienti profani, nei manoscritti miniati, nei testi letterari, negli stemmi: circa il 15 per cento degli scudi ne sfoggia uno, e il famoso adagio ‘Chi non ha un blasone porta un leone’, nato nei romanzi cavallereschi di XII secolo, viene ancora legittimamente citato nei manuali araldici stampati fra Cinque e Seicento. Il leone è davvero la stella del bestiario medievale, il primo di tutti gli animali. Sono rari i luoghi e i momenti in cui lo sguardo non vada a cadere su uno o più leoni. Questo animale fa parte della vita quotidiana e invita lo studioso ad interrogarsi sulla contrapposizione, geografica e culturale insieme, tra animali ‘indigeni’ e animali ‘esotici’, che nel Medioevo aveva un valore diverso da quello attuale.

Michel Pastoreau, Bestiari del Medioevo, Einaudi Editore