Il Grande Libro dei Fantasmi!
E' un vero e proprio tomo, rilegato a mano e con la copertina rigida, che già nella sua veste è capace di riportare il lettore al passato, o meglio, ad un mondo esoterico speciale, quelllo dei fantasmi. Racconti che lasciano con il fiato sospeso fino all'ultima pagina, altri capaci di ricreare l'atmosfera che vivono i diversi protagonisi, alimentando il dubbio che tutti noi abbiamo avuto, almeno una volta: "Ma i fantasmi esistono davvero?"
Come capita con i libri del Destino, ho chiuso gli occhi e ho aperto il volume, lasciando che il racconto che voleva venire alla luce, lo facesse apparentemente per caso. Eccolo qui, tra fantasia e realtà, con il mio consueto mazzolino di fiori stellati!
Ci fu una piccola pausa quando l’ultimo di noi finì di raccontare. Sedevamo intorno al fuoco e ognuno era immerso nei propri pensieri, la mente di ciascuno cercava la propria soluzione ai problemi sollevati dalle storie inquietanti che avevamo appena ascoltato. Fu Tredgold a rompere il silenzio.
‘E’ stata una bella storia – molto bella, ’ disse riempiendo pensieroso la pipa con del tabacco fresco. ‘Sento sempre il desiderio di saperne di più dagli esperti, dagli psicologi su questo tipo di avvenimenti o apparizioni o comunque vi piaccia chiamarli. A volte sembrano dei contatti e a volte no. ’
Accese la pipa con molta cura e poi si girò verso il suo vicino. ‘Ho sempre pensato che quella vicenda di sua moglie, dottore, sia, nel suo genere, una delle più strane che abbia mai sentito. ’
‘La storia del treno, eh? ’ disse il dottor Freeland. ‘Sì, fu un’avventura bizzarra. ’
Naturalmente esortammo il dottore a farcela conoscere.
‘Va bene, ’ disse lui, ‘ve la racconterò’. Anche lui si preparò a riempire di nuovo la pipa spingendo la sedia un po’ più lontano dal fuoco. ‘Successe quando vivevamo in campagna’, cominciò il dottore, pressando ben bene il tabacco in fondo al fornello della pipa. ‘Allora non esercitavo la professione, ma avevo una sorta di attività mista – lavoravo in un ospedale di Londra due o tre giorni alla settimana e durante il week-end davo il cambio a un collega in quella grande clinica privata che sta a Westlea. Era un genere di vita abbastanza movimentato, ma andava bene a lui e andava bene a me.
Un giorno – all’inizio della settimana, un martedì, credo – ricevetti una lettera di un uomo che conoscevo bene nella quale mi diceva che stava tornando in Inghilterra con una certa nave e che desiderava incontrarsi con me subito, appena arrivato. Lo avevo, bè, diciamo, per qualche verso, curato tempo addietro e aveva preso l’abitudine di venire da me per avere dei consigli e cose del genere; ma era stato in Canada per molti anni e lo avevo visto poco. In realtà non lo vedevo dal giorno del mio matrimonio. Aveva insistito sulla necessità di incontrarci immediatamente, ma non disse quale fosse il suo problema.
Allora cercai sul giornale il nome della nave, poi telefonai all’agenzia della società di navigazione di Londra e scoprii che sarebbe arriva a Plymouth due giorni dopo. A quell’epoca i treni che accoglievano i viaggiatori scesi dai piroscafi sganciavano un vagone a Westbury che veniva poi attaccato a un rapido di un’altra linea il quale, a sua volta, lasciava due vagoni alla stazione di Hedworth Junction, a circa undici chilometri da qui. A Westbury c’era da aspettare un’ora, ma era molto più veloce che andare direttamente in città con il treno della nave e tornare poi indietro fino alla stazione di Junction.
Così mandai un telegramma a Plymouth, al mio amico, nel quale gli dicevo di venire a Hedworth in questo modo e gli scrissi anche una lettera per dargli il benvenuto. Mandai due righe anche a mia moglie per dirle di andarlo a prendere ad a Hedworth al treno delle diciannove e undici. Le spiegai chi era perché non ero certo di poter essere di ritorno quella stessa sera, ma mia moglie era del tutto abituata ad avere ospiti occasionali anche sconosciuti di passaggio e sapevo che se la sarebbe cavata benissimo fino al mio ritorno. ’
Il dottore fece una pausa, accese un altro fiammifero e tirò delle boccate di fumo dalla pipa.
‘Devo dire di avere trovato un po’ stranò continuò, ‘che volesse vedermi con tanta urgenza, quasi appena sceso dalla nave. Ma pensai che si trovasse in qualche guaio e oramai aveva preso l’abitudine, come vi ho detto, di venire da me per essere aiutato. Ah, è proprio vero che è sempre la cosa sbagliata a sembrarci strana.
Bene, mia moglie, da quella creatura buona e sensibile quale è, non ci trovò assolutamente niente di strano. Preparò una stanza, la cena e poi partì con l’auto per andare alla stazione di Junction a prendere lo straniero. Per i miei andirivieni di lavoro io mi muovevo sempre con la mia motocicletta e così lei non doveva preoccuparsi di venirmi a prendere.
Si era agli inizi dell’inverno, era novembre, e quando mia moglie partì da casa era buio pesto. Naturalmente conoscevamo entrambi penosamente bene la strada per la stazione – non c’era un protuberanza in tutti i suoi undici chilometri circa con cui non avessimo perfettamente familiarizzato. E’ un normalissimo tratto di strada di campagna; all’inizio, per circa cinque chilometri, è dritto e attraversa dei pascoli – terra argillosa e querce che dividono i campi – poi, per un altro tratto, attraversa una fitta boscaglia dopo di che la strada sale su, in piena collina, prima di ridiscendere a valle dove il fiume, la strada e la ferrovia corrono paralleli. Era una notte fredda, secca, nuvolosa e senza luna; mia moglie mi raccontò di aver notato, forse per la centesima volta mentre guidava, come sembrasse bianco il fondo stradale asciutto e come contrastava con i punti dove le foglie cadute l’avevano inumidito e sporcato, e come la luce dei fari mettesse in risalto i tronchi degli alberi di quercia quando, uno dopo l’altro, li oltrepassava. Stava piuttosto in guardia su eventuali passanti appiedati lungo i bordi della strada perché aveva mezza speranza di vedere un suo giovane fratello che poteva forse arrivare all’improvviso quella sera – aveva l’abitudine di arrivare sempre all’improvviso, con un treno qualsiasi, e di venire a piedi dalla stazione di Junction con uno zaino sulle spalle.
Così, come ho detto, stava particolarmente attenta e a un certo punto, circa a metà del tratto dritto di cui ho già parlato, vide un uomo che veniva a piedi verso di lei, camminando sul lato destro della strada. Rallentò, mi disse, quando gli fu vicina, per avere il tempo di guardarlo. Non era suo fratello Jim; era un uomo di altezza media con un impermeabile molto chiaro che alla forte luce dei fari sembrava quasi bianco. Lo osservò, anche dopo essersi resa conto che non era Jim, con quel genere di attenzione involontaria con cui a volte si rilevano dei dettagli insignificanti e notò che sulla parte sinistra di quel suo impermeabile c’era una macchia scura, o un’ombra, che si vedeva molto chiaramente. Sul momento, naturalmente, non prestò alcuna attenzione a questi particolari, ma si limitò, come dire, a registrare automaticamente l’impressione che ne aveva avuta.
Bene, continuò a guidare per altri tre chilometri circa e si trovava proprio nel tratto che attraversa il bosco di giovani faggi piantati così vicini che i tronchi, in una luce incerta, sembrano pioggia, quando vide davanti a sé un altro uomo che camminava verso di lei, di nuovo sul lato destro della strada. Nel frattempo aveva incrociato una o due auto e dei ciclisti – in ogni caso non era una strada particolarmente solitaria – ma nessuno l’aveva sorpassata. Appena lo vide cominciò a guardarlo attentamente, come aveva fatto con l’altro, e quando gli arrivò più vicina e poté vederlo più nei dettagli, notò prima che aveva un impermeabile molto chiaro, poi che c’era una macchia scura sulla parte sinistra e infine, quando effettivamente lo sorpassò e poté vedere distintamente la sua faccia, si accorse che aveva lo stesso strabismo all’occhio destro e lo stesso tic al sopracciglio sempre destro che aveva l’uomo superato circa tre chilometri prima.
In realtà era lo stesso uomo.
Mi disse che l’assoluta stranezza di quella coincidenza sul momento non la colpì particolarmente – rimase a pensare per qualche istante dove lo avesse già visto. Poi, quando se ne ricordò, provò una sensazione decisamente sgradevole. Perse ancora qualche secondo nel tentativo di fare qualche ipotesi per spiegarsi quel fatto inquietante – è il modo in cui tutti trattiamo un fatto inquietante, ma non ci riuscì. Sapeva di averlo visto, sapeva dove l’aveva visto e ricordava chiaramente che nessuno l’aveva sorpassata andando nella sua stessa direzione. Né poteva ingannare se stessa dicendosi che non era lo stesso uomo; la sua involontaria e spontanea attenzione, in entrambi i casi, aveva registrato un’impressione troppo precisa e netta di quella persona.
Cominciò a sentirsi davvero molto a disagio. Fu allora che si guardò indietro. Ma nel bosco la strada non era più dritta – per un buon tratto era piena di curve e, con la stessa rapidità dei suoi pensieri, ne aveva percorso un bel pezzo; si rese conto che l’uomo sarebbe stato in ogni caso fuori dalla sua vista. Tra i margini argillosi e le grigie pareti di alberi la strada dietro di lei era vuota – per quel che ne poteva vedere, naturalmente, dal momento che dietro, dove la luce dei fari non c’è, la strada è molto buia.
Continuò a guidare e si sentì molto sollevata quando incrociò una o due altre auto e provò forte il desiderio di non incontrare, invece, nessun passante. E, dopo quel primo tentativo, non sentì nemmeno più il bisogno di guardarsi indietro – l’oscurità della strada, dopo quell’unica occhiata, aveva cominciato in qualche modo a suscitare in lei qualcosa di simile all’orrore.
Proseguì a una buona andatura su per la collina. Proprio in cima c’è un palo indicatore di un quadrivio. I fari illuminarono il palo bianco da una discreta distanza e fu contenta di vederlo perché il suo viaggio stava per finire – restava soltanto la discesa verso la valle e la stazione. Ma un momento dopo vide che, sotto il segnale, c’era un uomo. Colta dal panico, schiacciò l’acceleratore decisa a non guardarlo. Ma dovette guardare – non poté farne a meno – e, mentre oltrepassava a grande velocità, alla lice spietata dei fari vide di nuovo l’impermeabile bianco, la macchia scura sul lato sinistro, quel tic al sopracciglio e l’occhio strabico.
Questa volta si terrorizzò. Mi disse che per un istante perse quasi il controllo di sé e che proseguì alla cieca, a forte andatura, con l’unico proposito di arrivare dove ci fossero delle luci, delle facce e delle voci di esseri umani. Si trovò a scendere dalla collina ad una velocità assolutamente irragionevole e soltanto la sensazione di stare correndo un reale pericolo le fece riprendere il controllo. C’era una brutta curva alle falde della collina e per questo cercò di rallentare e continuò verso la stazione a un’andatura più prudente.
Lasciò l’auto fuori ed entrò quasi correndo nella stazione il cui orologio faceva le diciannove e dieci. L’atrio era caldo e vivacemente illuminato, i passeggeri e i facchini andavano e venivano e tutta la situazione era così normale che la tranquillizzò. L’anziano capostazione, che è un nostro grande amico, le si avvicinò e cominciò a parlarle e la sua chiacchiera paterna aumentò la sua sensazione di benessere. Le chiese chi era andata a prendere e lei glielo disse. L’idea di avere un compagno durante il viaggio di ritorno a casa la faceva sentire quasi a proprio agio. Andarono insieme al binario e rimasero ad aspettare il rapido. Era abbastanza in ritardo, ma alle diciannove e trentadue – il capostazione tirò fuori il suo orologio e lo annunciò ad alta voce – il treno arrivò rombando e le carrozze riservate, cigolando e stridendo sulle rotaie, si fermarono davanti al marciapiede. ‘Adesso cercheremo il suo amico, signora’, disse il brav’uomo.
Beh, non lo trovarono. I vagoni si svuotarono e le persone raccolsero i loro bagagli e cominciarono a lasciare la stazione con le auto che le stavano aspettando o a piedi; ma nessuno sembrava ciondolare con quell’aria interrogativa, così facile da riconoscere, dello straniero sperduto che spera che qualcuno lo venga a prendere. Erano entrambi perplessi. Il capostazione si rivolse al capotreno responsabile delle carrozze che venivano lasciate a Westbury per farle proseguire fino ad Hedworth e che le aveva seguite sin dall’inizio.
‘Questa signora è venuta a prendere un amico al treno della nave – dovrebbe essere salito a Westbury’.
Come si chiamava, volle sapere il capotreno. ‘Macmurdo’, disse mia moglie. Oh sì, era su quel treno certamente, il capotreno aveva la roba di lui nel bagagliaio. Andarono a vedere ed effettivamente c’erano tre valige con il nome e l’etichetta del piroscafo. Ma a quel punto non c’era nessuno sul marciapiede, tranne loro e i facchini. ‘Beh, questo è un enigma’ disse il capotreno sollevando il cappello e grattandosi la testa.
‘Io l’ho visto a Westbury, ho preso il suo bagaglio e gli ho parlato. E’ un signore americano vero? Comunque parlava come un americano. ’ Poi, come si dice, arrivò il colpo. Mia moglie, che fino a quel momento si era sentita soltanto abbastanza irritata e contrariata del fatto che l’uomo non era arrivato, se ne stava tranquilla e a proprio agio sotto i lampioni quando il capotreno chiamò l’inserviente che aveva raccolto i biglietti dei passeggeri mentre scendevano e gli chiese: ‘George, hai visto per caso scendere un signore con un impermeabile bianco e con un difetto all’occhio destro? ’
‘Che cosa ha detto? ’ disse mia moglie al capotreno – con tanta irritazione da sorprenderlo, ma era troppo turbata per curarsene. ‘Che cosa ha detto, com’era quel signore? ’, ripeté.
‘Beh, è un signore piuttosto alto, no? ’, disse il capotreno. ‘E aveva un soprabito bianchiccio e un tic all’occhio; una specie di difetto – l’ho notato per questo. E’ così, vero? ’
Era così. La cosa terribile era proprio che il capotreno aveva visto con tanta precisione quello che anche lei aveva visto. Stava per chiedergli se quell’impermeabile bianco aveva anche una macchi scura sul lato sinistro quando si rese conto che secondo le regole di un mondo sensato, di un mondo di capotreni e di inservienti di vagoni letto, lei, quell’uomo non doveva averlo visto per niente. Non poteva averlo visto, capite? Il capotreno lo aveva visto a Westbury e nessuna potenza terrena avrebbe potuto trasportarlo sulla strada della stazione, dove lei lo aveva incontrato, prima delle sette. Quella sera, per la seconda volta, lei riperse il controllo di sé e fece la domanda giusta, quella razionale. Era sicuro di averlo visto salire sul treno? Come sapeva che quell’uomo si chiamava proprio così? Il capotreno fu assolutamente preciso e chiaro. Il rapido stava partendo in ritardo da Westbury e quel signore era andato da lui tutto agitato e gli aveva chiesto quando sarebbe partito il treno. ‘Mi diede le sue cose da mettere nel bagagliaio e così lessi il suo nome, mi chiese dove fosse il buffet della stazione e glielo mostrai. Chiacchierammo un po’ – era molto spigliato nel parlare come la maggioranza dei signori americani. Non potevo non ricordarmi di lui – disse il capotreno – anche perché mi diede una mancia per i miei servizi e vidi che aveva con sé un grosso rotolo di banconote. ’
Bene, su questo non c’erano dubbi – era Macmurdo l’uomo che mia moglie aveva visto con tanta chiarezza: ma come potrete immaginare lei non partecipò molto attivamente alla perquisizione delle carrozze vuote che venne fatta subito dopo. Non trovarono nulla, sebbene uno scompartimento fosse pieno di pezzi di carta che il capotreno si limitò a smuovere un poco in superficie, distrattamente. Di Macmurdo non c’erano tracce né mia moglie si aspettava che ci fossero. Aveva capito che se n’era andato all’altro mondo. E questo era certo, poveretto. La mattina dopo, quando le carrozze riservate furono pulite, trovarono delle macchie di sangue sul sedile e sul pavimento di quello scompartimento pieno di giornali sparsi e nel giro di ventiquattrore una squadra di operai al controllo delle rotaie, facendo l’ispezione quotidiana di quel tratto, ritrovarono il cadavere di un uomo disteso per terra sul bordo della linea ferroviaria, a metà strada tra Westbury e Armlea. Era piombato giù con tanta violenza, ma la causa della morte non era stata la caduta: una grande macchia di sangue sul lato sinistro dell’impermeabile indicava il punto in cui era stato ferocemente pugnalato – assassinato, non c’erano dubbi in proposito, a causa di quel grosso rotolo di banconote che il capotreno aveva notato quando aveva avuto la sua mancia. Né l’orologio, né l’anello, né tutto il resto, niente era stato toccato, tranne il denaro e tra le carte che facilmente lo identificarono c’era anche la mia lettera di benvenuto in cui gli parlavo del treno che avrebbe dovuto prendere. ’
Il dottore fece una pausa e batté la pipa contro la grata del camino.
‘Quella lettera mi coinvolse nell’inchiesta’ – continuò – ‘così seppi tutto quello che la polizia era riuscita a mettere insieme nell’indagine. Fu pugnalato e gettato fuori in un lasso di tempo tra le diciotto e quaranta e le diciannove e diciassette, quando arrivò ad Armlea. Armlea era l’unica fermata tra Westbury e Hedworth e mia moglie era arrivata già da un po’ alla stazione di Junction quando il treno aveva lasciato quella località. ’
‘Senza dubbio è lì che deve essere sceso l’assassino’, interloquì qualcuno.
‘Era solo un’ipotesi’, disse il dottore, ‘ma successivamente fu confermata’.
‘Come? ’, chiesero cinque voci in coro.
‘Questa è la parte più strana di tutta la storia’, disse il dottore.
‘Più di un anno dopo mia moglie si trovò di nuovo alla stazione di Junction, di sera, perché era venuta a prendere me, questa volta. E’ una creatura coraggiosa e non permise alla sua avversione per la strada della stazione, dopo il tramonto, di durare a lungo. ‘Poveretto, aveva detto più di una volta, cercava aiuto e stava venendo da te per questo, come faceva sempre, e questo era tutto. Avrei voluto poterlo aiutare. ‘
Bene, era lì, alla stazione, e questa volta era in ritardo il treno della linea interna. Stava seduta nella sala d’attesa e leggeva il giornale proprio sotto una lampada, quando arrivò un uomo. Appena lo sentì entrare, alzò gli occhi, come avrebbe fatto chiunque, e la luce, suppongo, le illuminò il viso. Non c’era nessun altro nella sala. Beh, lei mi raccontò che quando l’uomo la vide cambiò completamente espressione – la faccia gli ‘diventò spettrale’, disse esattamente mia moglie, poi indietreggiò di due o tre passi, quasi barcollando, si girò e uscì come uno che avesse ricevuto un colpo. Come potrete immaginare lei rimase piuttosto turbata dall’aver prodotto un effetto simile su un perfetto sconosciuto e di fatto si alzò e cercò di guardarsi nel vetro i uno di quei quadri che incorniciavano immagini sbiadite di transatlantici e che sempre si trovano appesi alle pareti delle sale d’aspetto. Non riuscì a vedere nulla di strano nel proprio aspetto così si rimise a leggere il giornale. Subito dopo qualcosa le fece rialzare lo sguardo e vide di nuovo quell’uomo che sbirciava dentro la sala attraverso il finestrone che dava sul marciapiede della stazione. Continuò poi a gironzolare per un po’ e alla fine si decise a entrare. Sembrava terribilmente male in arnese e disse che doveva parlarle. Lei lo fece sedere perché tremava tutto e lui fece un piena confessione dell’assassinio del mio povero amico. Mia moglie all’inizio pensò che stesse vaneggiando, ma non ci potevano essere errori: aveva detto il nome, la data e l’orario del treno. Disse che aveva un bisogno disperato di denaro e di aver visto le banconote quando Macmurdo aveva dato la mancia al capotreno a Westbury e, spinto da un improvviso impulso, aveva commesso l’omicidio. Era sceso ad Armlea, come la polizia aveva sospettato, e si era dileguato. ’.
‘Ma perché mai…’ cominciò qualcuno.
‘Lo raccontò a mia moglie? ’ disse il dottore.
‘E’ giusto. Lei infatti glielo chiese e voi potrete farne quello che volete della sua risposta. Tutto questo lei lo dovrebbe a raccontare alla polizia, gli disse lei. ‘Perché lo ha detto a me? ’
‘Perché lei era là! ’, disse lui.
‘Che cosa vuol dire là? ’, chiese mia moglie allarmata.
‘Lei venne e mi guardò’, disse quel povero disgraziato, tremando come una foglia. ‘Per tre volte, mentre sparpagliavo in giro i giornali prima di arrivare ad Armlea, lei si fermò sulla porta e mi guardò. Come poteva pensare che avrei potuto dimenticare il suo viso! – quasi gridò lui -, sapevo che un giorno l’avrei rivista e che allora avrei dovuto parlarle’.
Il dottore fece un’altra pausa, ma questa volta nessuno disse nulla.
‘Ecco’, disse dopo qualche attimo, ‘fatene quello che volete. ’
Gli chiedemmo cosa ne fu dell’assassino.
‘Lo consegnammo alla polizia’, disse il dottore. ‘Non si poteva fare nient’altro, e poi lui lo voleva. Ma prima che potesse essere processato perse completamente la ragione e adesso credo sia ricoverato in un manicomio. ’
‘E lei, dottore, cosa dice di questa storia? ’, chiese Tredgold dopo un’altra pausa.
Il dottore si chinò avanti e per l’ultima volta batté la pipa contro la grata del camino.
‘Lo sai il cielo! ’, rispose.
Ann Bridge, La strada per la Stazione
Richard Dalby, Il Grande Libro dei Fantasmi, La Tartaruga Edizioni