Benvenuti nel Palazzo del Te!

Miei cari Amici delle Stelle,
oggi vi porto in un luogo straordinario, che ho avuto il privilegio di visitare diversi anni fa, e dove ho acquistato questo splendido volume, che custodisco con particolare cura, e che amo molto per l’iconografia sensazionale e per i contenuti, che riportano il lettore all’interno del Palazzo del Te, che narra le vicende di Psiche (e non solo!)

Vi consiglio una visita in questo Palazzo, è una sensazione indescrivibile muoversi tra le diverse stanze, che hanno sfumature astrologiche e narrano le vicende appassionate di Federico II, innamorato di Isabella, contrastato in questo amore, dalla madre che si chiamava anch’essa Isabella.

Scrive Gabriele Vertazzolo (m. 1626): ‘Il Te fu così chiamato, perché sul principio della sua bonificazione furono fatte quelle due strade, che hora sono adornate di pioppe, l’una dalla porta Posterla per sino alla crociara oltre s. Francesco di Paola, et l’altra dall’argine di Paiuolo alle stalle, in modo che queste due strade venivano a formare giustamente la lettera del T maiuscola, non passando quella che viene dalla porta, per all’hora, oltre detta crociara. Onde quelli che andavano a camminare, dicendo di essere stati o di volere arrivare al T, diedero la denominazione a questa grand’isola, la quale fu poi dal Duca Federico arricchita del Sontuosissimo suo palaggio, di così nobili stance, opre tutto del famoso Giulio Romano Architetto e Pittore singularissimo, come appunto di adornamenti, i sontuosi frisi, i ben intesi colonnar corniciamenti, intagli, rilievi et pitture che qui veggono il suo chiaro sapere dimostrano. Fu indi ingrandito questo sontuoso Palaggio di bellissimi giardini, Fontane segnalatissime, Peschiere di somma grandezza et altre nobili fabriche dal Serenis. ’

I lavori di edificazione della villa iniziarono nel 1525 e continuarono per una decina d’anni.
Già a quei tempi la mirabile opera fu magnificata in poesia. In tre distici elegiaci Nicolò d’Arco cantò di Venere che, rinunciando a Roma e a Cipro, scelse di porre la sua nuova dimora nella villa di Federico, suo novello Marte, e da allora non più Cipride, ma Teia preferì chiamarsi:

Venere Teia
Cipria, percorrendo l’aria sul carro dei cigni,
Federico vede e la auree dimore del Te.
‘Roma e Cipro, addio – dice – qui vivrò in pace.
Qui è Roma, qui Cipro, qui abita il mio Marte.
Se prima dunque i poeti mi dissero Cipride,
d’ora in poi sarò detta Venere Teia.’

Quattro sono le facciate del Palazzo del Te.
La prima è l’entrata verso ponente.
La seconda facciata è verso mezzodì. Questa è chiusa, non è lavorata come l’altra, ma vi è il muro vecchio, antico, dell’edificio di prima.
La terza facciata guarda verso levante. Vi è un giardino bellissimo e fra il palazzo e il giardino vi è un ponte di pietra rustica, dove è una peschiera.
La quarta facciata è volta verso la tramontana. Ha un prato grandissimo che arriva al fosso de le mura de la città; nella facciata vi sono alcune pitture finte nelle finestre murate.

Camera del Sole e della Luna

‘Tutto il volto è lavorato con un compartimento fatto a mandole con entro figurine di stuccho, la maggior parte ritratte dalle medaglie. Nel mezzo vi è uno spatio lungo dai quadri, dove in scurcio vi è il Sole e la Luna che camminano. ’

La volta ‘a schifo0, ossia a chiglia di nave, è un intreccio di nervature in istucco che generano quasi duecento losanghe entro le quali sono immagini a stucco di divinità pagane e di invenzione giuliesca. Al centro, i carri dei due luminari, il Sole in declino, la Luna in Ascesa, luminosa del crescente. Come codificato, Selene è sulla biga, sulla quadriga Apollo, anche se qui si vedono solo due dei quattro cavalli. La sola immagine del Sole si ritrova identica sulla volta della galleria degli Antenati nel Palazzo Ducale di Sabbioneta. Pare dunque errata la ricorrente interpretazione di questa figura come Fetonte che guida il carro del Sole. Nulla infatti autorizza a ravvisare nell’immagine dell’auriga il figlio di Climene e di Apollo che non seppe condurre la quadriga solare.

Camera dei Venti

‘Una camera, la soffitta si è dipinta e lavorata con un compartimento di stucchi e fra essi tutti li segni celesti lavorati di stucco con vari venti, e tutti finti di color di bronzo. Le figure collorite sono arii Dei con anche imagine d’imperatori. D’hogni intorno vi sono li 12 mesi, et in essi quelle azioni che secondo la stagione più si fa, colloriti in forma di torni con vari festoni intorno adorati.’

Chi passa a questa stanza – che fu alloggio del Gonzaga – dalla camera di Psiche, legge scolpita sotto l’architrave marmoreo:

DISTAT ENIM QVAE
SYDERA TE EXCIPIANT
Dipende infatti da quali stelle ti ricevano

Le attività degli uomini sono differenti secondo che essi nascano sotto queste o quelle stelle, fauste o infauste. L’epigrafe dunque riassume il senso della raffigurazione astrologica che adorna la stanza e si svolge sulla volta e sulle pareti.
Tutt’attorno i mascheroni dei venti soffiano sul mondo sublunare. In cima alla volta campeggia l’impresa del Monte Olimpo, attorno alla quale si muove idealmente, con i Segni Zodiacali, un cielo popolato di divinità. Alle dodici costellazioni corrispondono le diverse attività umane e le varie indoli degli uomini.
Ariete: nuotatori, pastori musici;
Toro: gladiatori;
Gemelli: corridori;
Cancro: cacciatori, pescatori;
Leone: coraggiosi;
Vergine: giardinieri, profumieri, amanti dei piaceri della vita;
Libra: cacciatori di uccelli e pescatori con tridente e arpione;
Scorpione: sacerdoti, aurighi, veterinari;
Sagittario: criminali per invidia, ministri di sovrani, amministratori pubblici;
Capricorno: serpari, immuni dai morsi dei serpenti;
Acquario: coraggiosi in guerra, fondatori di città, trionfatori su gente straniera;
Pesci: pescatori.

Prima di lasciare l’astrale camera da letto di Federico II Gonzaga gioverà apprendere e tenere a mente i quattro versi arguti sussurrati nelle orecchie di Baldo e compagni eroi folenghini da Manto, mitica fondatrice di Mantova:
‘…et habendi denique plenam
Semper ducatis borsam donavit avisum;
quod magis importat, magis altum recat honorem,
quam studiando libro et stellis perdere sennum.’
Baldus, XIII 340 – 343)

Camera degli Imperatori

In questa camera nel mezzo del cielo vi è l’historia dipinta come Julio Cesare dopo aver vinto Pompeo Magni li furon portate le sue scritture e scrigni con lettere, e Cesare non le vol vedere, m comanda che siano abruciate, e così li soldati mettono a esecutione il comandamento de lo imperatore.
Agli angoli della base della volta sono le imprese del ramarro, del Monte Olimpo e dello Zodiaco. Circa quest’ultima divisa si legge che Federico II Gonzaga ‘haveva per impresa il Zodiaco cum signi notati per stelle in mezo, il pianeta Venere col suo corpo et cielo tocando le sue piramidal linee, il signo Tauro sua propria et amata casa; il moto dice in eadem semper, che perpetuo amor ove hora si trova dimostra.’
A nostro parere l’impresa astrologica ora descritta non pare del tutto corrispondente a quella raffigurata nello stucco della camera, non sembra cioè la stessa, per più motivi: è arduo riconoscere Venere e Toro nel caelum stellatum costituito dalla fascia esterna seminata di punti dorati, diversamente disposti a distinguere le diverse costellazioni; è verosimile che il dischetto punteggiato di globuli dorati, posto al centro dell’impresa, sia la Terra (ben diversa e inequivocabile è l’iconografia del Sole), pertanto l’astro, il cui corso è segnato da una seconda fascia, in perigeo tangente la Terra, è chiaramente la Luna), ossia sempre nello stesso punto.

E, finalmente arriviamo alla Camera di Psiche!
… In quell’anno Federico II, quinto Marchese di Mantova e capitano generale di Santa Romana Chiesa e della Repubblica di Firenze, aveva chiesto l’annullamento del suo non consumato matrimonio con Maria Paleologo di Monferrato, prendendo a pretesto la congiura tramata contro la propria amante, Isabella Boschetti, dal marito della donna, Francesco Cauzzi Calvisano Gonzaga, e attribuita alla corte monferrina.
Era quell’amore iniziato oltre dieci anni prima, dopo il periodo romano di Federico e proseguito dopo il ritorno del principe dal soggiorno francese e dopo il suo platonico matrimonio con Maria (1517): una passione travolgente, spregiudicata, scandalosa per la casata e soprattutto per la marchesa Isabella d’Este, la madre del principe, la quale non cesserà, seppure invano, di osteggiarla in ogni modo.
Paolo Giovio parrebbe alludere a quell’amante del principe illustrando l’impresa isabelliana del candelabro, scolpito nel portale dell’attuale Palazzo Castiglioni, in piazza Sordello, 12, e ricorrente nell’appartamento vedovile della marchesa (1522) in Corte Vecchia: ‘Non merita d’esser passata con silenzio la signora Isabella, Marchesana di Mantova, che sempre fu per li suoi onorati costumi magnificentissima e in diversi tempi della vita sua ebbe varii affronti di fortuna, i quali le diedero occasione di fare più di un’impresa. E fra l’altre accadde che per soverchio amore che portava il figliuolo suo il duca – dal 1530 – Federico ad una gentildonna, alla quale egli voltava tutti gli onori e favori, essa restò come degradata e poco stimata, talmente che la detta innamorata del Duca cavalcava superbamente accompagnata per la città dalla turba di tutti i gentiluomini ch’erano soliti accompagnare lei, e di sorte che non restarono in sua compagnia se non uno o due nobili vecchi che mai non la volsero abbandonare; per lo quale affronto essa signora Marchesa fece dipingere nel suo palazzo suburbano, chiamato Porto, e nella corte vecchia, una bella impresa a questo proposito, che fu il candelabro fatto in triangolo, il quale sé divini ufficii oggidì s’usa per chiese la Settimana Santa, nel quale candelabro misteriosamente ad uno ad uno si levano i lumi de’ sacerdoti finchè un solo vi resta in cima, a significazione che il lume della fede non può perire in tutto, alla quale mancò il morto e io che fui gran servitore della detta signora ve l’aggiunsi, ed è questo: ‘Sufficit unum in tenebris, alludendo a quel di Virgilio – Aeneis, V 815 – Usun pro multis.’

Al tempo di quell’amore Federico, nel 1524, aveva voluto una villa di piacere là, sull’isola del Te o del T, dov’erano le scuderie dei celebrati corsieri di suo padre, e l’ingegno di Giulio Romano, l’architetto allievo di Raffaello, venuto a Mantova – grazie ai buoni uffici di Baldassarre Castiglione – da quella Roma dove Federico aveva vissuto anni di gioventù dorata alla corte di Giulio II, prometteva di edificarla bellissima. L’acqua tutt’attorno e nelle peschiere, zampillante dalle fontane e grondante dai muri, avrebbe intriso di frescura i prati e i giardini, e il beneficio sarebbe giunto anche nelle camere e nelle sale, che un fermento d’artisti avrebbe colorato di dipinti, incrostato di stucchi e tutto per la gioia del principe e della sua donna.
Federico avrebbe alloggiato nella camera dei Venti e nella camera delle Aquile o di Fetonte. Secondo una non documentata tradizione Isabella Boschetti avrebbe avuto il proprio appartamento oltre la loggia delle Muse, nella camera del Sole e della Luna e delle imprese di Ovidio, ma Belluzzi ribadisce che si tratta appunto di una ipotesi infondata.
Sia come si voglia, dovunque avrebbe strisciato il ramarro emblematico del marchese, il rettile simbolo del suo inesausto bisogno d’amore, sulle pareti e sui soffitti e sui camini, accanto al cartiglio segnato da quel motto che è confessione e parte supplica:

QVOD HVIC DEEST ME TORQVET
Ciò che manca a questo tormenta me

Ma se tutto il Palazzo del T è il riverbero del temperamento sanguigno e passionale del committente, è nella camera di Psiche che quell’inestinguibile ardore del sangue trova la sua dichiarazione più univoca e aperta. E’ qui infatti il principe volle che corresse sulle pareti, a lettere d’oro, la parola della sua volontà di costruire quell’hortus delitiarum, in un honestim ocium e quies l’avrebbero ricreato dalle fatiche ritemprandogli il vigore:

FEDERICVS GONZAGA IL MAR(chio) – V – S(anctae) – R(omanae) – E(cllesiae) – ET – REIP(ublicae) – FLOR(entinae) – CAPITANEVS – GENERALIS – HONESTO – OCIO POST – LABORES AD - REPARANDAM VIRT(utem) – QVIETI - CONSTRVI MANDAVIT

D’amore palpitano dunque quella villa e quella festa, e anche quando Federico, dopo aver rinunciato a sposare Giulia d’Aragona, un matrimonio propostogli dall’Imperatore Carlo V allorché gli concedette il titolo ducale, finirà per sposare Margherita Paleologo, sorella di Maria, morta nel frattempo, che gli porterà in dote il Monferrato, la passione per Isabella Boschetti non si era ancora spenta.
Giustamente, pertanto, quell’amore è di continuo ricordato dagli studiosi, sia a proposito dell’edificazione del palazzo, sia appunto la camera di Psiche, nei cui dipinti è stato scritto, anche di recente, è adombrato il contrasto familiare tra Federico e la madre, ‘che traduce con immediatezza drammatica, al di là del fasto scenografico e del programma iconologico.’
Del resto il romanzo d’amore di Federico, figlio di Isabella e innamorato di Isabella, contrastato dalla marchesa, era facilmente sovrapponibile alla relazione amorosa di Cupido, figlio di Venere e innamorato di Psiche, la creduta di Venere, rivale fra gli uomini della vera Venere, Venere contro Venere, dunque, come Isabella contro Isabella e, fra le contendenti, Amore-Federico.
Accostamenti che hanno fatto scrivere all’Intra persino: ‘Nella figura di Psiche abbiamo l’immagine di Isabella Boschetti; in quella delle altre Dee il ritratto delle principali Dame, che allora rifulgevano alla Corte di Mantova. ’
‘Un’argomentazione, a mio avviso, molto ardita – commentava il Davari – perché non suffragata da documenti, ma se si considera che quella sala deve essere stata dipinta appunto in quei giorni in cui Isabella imperava sul cuore del suo Federico, può essere che Giulio abbia voluto con quei dipinti immaginosi della Grecia mitologica assecondare il pensiero del suo Mecenate; che infine si può dire essere quella camera tutta palpitante di voluttuosa sensualità di cui Federico e Isabella erano la viva espressione della Corte.’

La camera di Psiche è tutta dedicata esclusivamente all’esaltazione del tema dell’amore e della felicità, consono al carattere del principe mantovano. La narrazione di Psiche segue degli ottagoni e poi un senso orario in dodici lunette.
Ottagoni:
Psiche creduta Venere
Venere ordina al figlio Amore di punire Psiche
Il padre di Psiche consulta l’oracolo di apollo Milesio
Psiche sollevata nell’aria da Zefiro
Psiche addormentata nella valle di Amore
Psiche a pranzo nella reggia di Amore
Psiche dona gioielli alle sorelle
Psiche vede Amore

Lunette:
Venere rimprovera Amore
Cerere e Giunone cercano di placare la collera di Venere
Psiche chiede invano aiuto a Cerere
Psiche supplica inutilmente Giunone
Venere chiede a Giove l’ausilio di Mercurio
Mercurio araldo di Venere
Abitudine cattura Psiche e la trascina davanti a Venere
La prima prova: la cernita dei semi
La seconda prova: il fiocco di lana
La terza prova: l’acqua dello Stige e di Cocito
La quarta prova: la bellezza di Proserpina
Psiche addormentata svegliata da Amore

(Nota di Grazia Mirti: questa narrazione è una delle rarissime con un lieto fine: le nozze di Amore e Psiche.)

‘Bevi – disse – Psiche, e sii immortale: Amore non s’allontanerà mai dal tuo vincolo, ma queste saranno per voi nozze eterne. ’

Al solenne rito nuziale furono presenti tutti gli dei.

Rodolfo Signorini, Il Palazzo del Te e la Camera di Psiche, Editoriale Sometti Mantova