Ammazzare il Mago, un dovere da Imperatore
Matthew Dickie ha scritto la storia della magia in Grecia e a Roma dal V secolo a.C. all’era cristiana di Bisanzio. L’Atene del V secolo era abitata da maghi di varia natura, esseri bizzarri, esperti di giochi di prestigio e furbissimi dotti dai più diversi nomi: epodos, goes, magos, farmakeus.
Gli ateniesi poi erano ossessionati dai persiani, i quali avevano sacerdoti che erano maghi collaudati. Eschilo racconta che quando giunse nella capitale persiana la notizia della catastrofe di Salamina, la madre di Dario radunò gli anziani e intonò lamentazioni sulla tomba dell’Imperatore, supplicando i morti dell’Ade che lo liberassero dall’avello per farlo accorrere in loro soccorso. Anche i Greci invocavano i morti alle bocche dell’Ade con lamentazioni funebri, l’aveva già fatto Odisseo evocando Tiresia. E gli zoroastriani erano ritenuti maestri della magia: sapevano anche cantare un uragano. Platone tratta la matematica nelle Leggi e dice che esiste una farmacia che tratta i corpi attraverso altri corpi e una che invece li stimola in modo sottile con canti e ritmi. Questo secondo tipo di magia è il più propizio per evocare i morti dell’Ade.
Nel Plutus di Aristofane (388 a.C.), Laide è definita una Circe che mescola farmaka e opera incanti sui camerati di Filonide. Empusa, ex prostituta, ora esegue cerimonie purificatrici nelle private dimore.
Nelle maledizioni che i testi ci conservano vediamo i personaggi della folla: padroni di taverne e postriboli, i loro aiutanti e le loro schiave.
Dal 300 al primo secolo dopo Cristo affluiscono dall’Asia e dall’Africa nuovi personaggi del campo: ne parla Menandro nelle Thettalae e nei Menagyrtes quando descrive gli errabondi preti della Grande Madre. Teocrito ci narra della fanciulla che si è innamorata del giovinetto Delfio incontrato in una processione in onore di Artemide. Gli aveva spedito la sua ambasciatrice Testylis per invitarlo. Lui aveva accettato l’incontro, i due avevano amoreggiato e poi era sparito, non senza aver sottratto delle pozioni magiche assire trovate in casa dell’amante.
Nella commedia Fasma, Menandro narra che il giovane Feldias scorse una fanciulla deliziosa ma si convinse in seguito che fosse un sogno. Uno schiavo gli suggerì di circondarsi di donne intente ad ardere zolfo e a spruzzare l’acqua di tre fonti, dove fossero stati gettati sale e lenticchie. Se prima lo straniero esperto di magia era un persiano, si osserva adesso che è un Assiro, un Babilonese, un Caldeo.
Quando i giochi maggiori della storia si trasferiscono a Roma, si scatenerà una vera lotta tra le regioni locali e attaviche e la magia straniera, speciale quella proveniente dall’Egitto. Il culto di Iside, ad esempio, prenderà piede solo grazie a Nerone. Amuleti o remedia si appendevano nei templi; Plauto ci parla di ‘venefiche’, talvolta addirittura di ‘trivenefiche’, ma non si riesce bene a capire se parla di vere e proprie avvelenatrici o soltanto di fattucchiere. Apuleio parla di un neoterikos di nome Levio, ma è Lucilio a nominare la saga e la conciliatrix.
Il Miles gloriosus ci avverte che una moglie a ogni 19 del mese vuole pagarsi la praecantatrix o incantatrice, l’interprete dei sogni, la profetessa e la lettrice di viscere. Virgilio ci parla dei Marsi come di maghi temibili: il loro re Aete aveva tre figlie, Circe, che abitava al Circeo, Angizia rimasta nel Fucino, Medea sepolta da Giasone a Butrozio. Magus compare in Catullo e poi in cicerone: è il sacerdote del fuoco uraniano. Negli epodi Orazio mette in campo le streghe senza cuore che seppelliscono una giovane fino al collo e le strappano il fegato.
Gli Imperatori romani ingaggiarono una vera e propria guerra contro i maghi. Dione Cassio dice di Tiberio fece uccidere tutti i goes che non fossero cittadini romani. Nelle cronache della Caput Mundi si registra la morte di 45 maghi e 85 streghe in un solo anno e sappiamo che il pretore Cornelio espulse da tutta Italia i Caldei. Solo dopo il 68 d. C. cominciarono ad attenuarsi le espurgazioni di astrologi e maghi da Roma.
Prima dell’avvento di Costantino s’insinuarono nel mondo romano moltissimi praticanti di ‘teurgia’ (una pseudoscienza magica con la quale si pretendeva di stabilire un contatto con la divinità). Alcuni li consideravano dei gabbamondo, altri dei santi.
Ad ogni buon conto, nel 317 Costantino vietò agli aruspici di varcare la soglia di un domicilio, sotto pena del rogo. Ammiano Marcellino, allievo di Tacito, ci narra l’orrore delle persecuzioni sotto Costanzio II e sotto Valente: perfino magie da nulla venivano punite con morti atrocissime.
Quando la Chiesa prese piede, il Diritto Canonico proscrisse chiunque avesse rapporti con ‘demoni’, cioè con sodomiti, folli, maghi, incantatori, astrologi, serpentari, facitori d’amuleti, purificatori, interpreti dei canti d’uccelli, di palpitazioni, di fisionomia, di parole scappate di bocca: con costoro i catecumeni non avevano avere contatti.
Elémire Zolla, il Sole 24 Ore, 2 Settembre 2001
Matthew W. Dickie, Magic and Magician in the Greco – Roman World, Routledge