Storia di un cappotto a quadretti!
Miei cari Amici delle Stelle,
desidero raccontarvi un avvenimento che mi ha offerto interessanti spunti di riflessione.
L’antefatto ve lo avevo già raccontato qualche tempo fa: una cara, anzi, carissima, allieva della nostra Scuola delle Stelle, ha avuto la triste notizia di un tumore. Ha voluto raccontarlo lei stessa ad alcuni suoi compagni di classe, e con mia grande commozione, tutti si sono mobilitati con pensieri, preghiere, candele di tutti i colori, per fale sentire la loro presenza discreta.
Forse è anche per questo che amo molto la nostra Casa stellare, nella quale condividiamo un linguaggio comune, l’Astrologia, ma tutti pratichiamo costantemente l’empatia, l’amicizia, l’ascolto. E’ un privilegio raro, che mi rende grata di essere insegnante.
Nei giorni scorsi Elisabetta mi ha detto che voleva andare a trovarla, dato che temporaneamente si è dovuta trasferire in una città distante dalla sua, per la terapia mirata. E che le voleva portare un pacchetto stellare, perché, insomma, sola soletta in una città che non conosce, anche solo un paio d’ore a chiacchierare insieme, le avrebbe fatto bene.
Ci ho pensato, e ho detto: “Vengo anch'io!” Quindi lei, subito ha chiamato l’amica e le ha detto: “Scoop sensazionale: porto anche la maestra!”
Mi sono autoinvitata pensando alla sua Mamma, certa che le avrebbe fatto piacere, sapendo la figlia lontana. Non solo, dopo aver sentito che mia figlia cercava il cestino del gatto, e capito che stava maturando la peregrina idea di portare la piccola Giovedì in treno – e con raccapriccio immaginato i danni della scorpioncina di famiglia ai sedili della carrozza ferroviaria – non ho più avuto esitazioni.
Siamo andate alla stazione, il giorno precedente alla trasferta, e devo dirvi che la strada è iniziata molto in salita: non c’erano posti disponibili sul treno. Siamo rimaste ferme, impassibili, quando l’impiegata ci ha comunicato che non potevamo partire, e, con tono lapidario – ma sempre cortese – abbiamo detto: “controlli meglio”
Si erano liberati magicamente due posti. Ho mandato un ringraziamento al Cielo, e la prima metà dell’opera era compiuta. La mattina della partenza, ne abbiamo viste di tutti i colori: Giovedì che si era raggomitolata sull’albero e non sembrava intenzionata a scendere, il sacchetto con i pacchetti celestiali che non si trovava, e altri piccoli imprevisti, che non ci hanno minimamente scoraggiate. Mia Mamma Giovanna aveva un libro molto divertente, l’Enciclopedia del Gatto, che citava testuali parole: aveva mai visto un gatto che è morto di fame perché stazionava su un albero? Rasserenatevi, scenderà”. E il nostro gatto, bontà sua, è sceso e siamo partite.
Il viaggio in treno è stato piacevole: Elisabetta mi ha mostrato con orgoglio il biglietto che accompagnava i pensierini acquistati, scritto in bella calligrafia. “Per fortuna, Mamma, ha un nome che non inizia con la M o la W, perché mi vengono malissimo!”, e il mio pensiero tornava indietro nel tempo, a quando scrivevo con bella grafia i giudizi dei miei allievi, alla scuola di Stato. E’ proprio vero che, a volte, siamo felici e sereni, e non ce ne rendiamo conto, e piccoli frammenti di vita quotidiana ci riportano a decenni prima, come se fosse passato solo un minuto.
Arriviamo a destinazione, ci rechiamo all’appuntamento, in un grazioso ristorante. La nostra amica ci raggiungerà lì. Prende un autobus, e mi trattengo dal dire che magari potevamo organizzarci e andarla a prendere (come direbbe una Mamma!), perché riflettevo già sul ristorante. La creatura speciale che abbiamo incontrato non riesce a mangiare molto, e io ho detto: “Sarà una buona idea andare in un ristorante?” “Certo che lo è Mamma, perché noi la trattiamo da persona normale.”
Quel “persona normale”, mi ha fatto pensare tanto.
Non c’è nulla di peggio che leggere la pietà negli occhi di chi hai di fronte, quel genere di pietà che non è empatia, è qualcosa di diverso, di grave, che può diventare poco autentico e trasformarsi per chi dovrebbe essere accudito e compreso, in “sei diverso.” Non mi dilungo su questo punto perché so che avete compreso perfettamente cosa intendo dire, tutti lo abbiamo provato, nelle piccole e grandi cose, ed è bello che chi ti vuole bene ti guardi con gli stessi occhi di sempre. Con gli occhi dell’amore e dell’affetto.
Naturalmente, al momento del nostro pranzetto, abbiamo pensato che avevamo voglia di mangiare brodo di pollo, tutte e tre. “Fa freddo, è proprio tanto tempo che pensiamo ad una buona minestra”, sorridendo perché la ragione la conoscevamo bene. E quindi, brodo di pollo, allegramente!
Mi sono allontanata un momento e guardavo le due amiche per caso, perché si sono conosciute per il Corso di Astrologia, e le vedevo chiacchierare come due bambine: una aveva un cappottino a quadretti che veniva voglia di abbracciarla e proteggerla da ciò che le sta capitando; l’altra con un berretto a forma di fragola, che le spiegava che l’album di figurine che le ha portato è cosa seria e le figurine si appiccicano in un modo che va rispettato, altrimenti vengono le pieghe. E’ proprio vero che, per noi genitori, i figli restano bambini, e non ci sembrano mai pronti per quei dolori, troppo grandi, che fanno parte della nostra esistenza.
Poi, ci siamo messe a cercare il “colpevole”, il Pianeta che secondo ciascuna di noi, aveva la responsabilità di questo gran pasticcio nella salute: alla fine non ce n'era uno colpevole, perché abbiamo pensato che, complice un transito favorevole (che forse non esiste, ma noi siamo sicure di averlo visto!), la cara allieva ha riscontrato un tumore che è minuscolo e quindi le speranze non mancano. Nella difficoltà, abbiamo cercato di aggrapparci alle nostre Stelle, e nei tavolini vicini – ho pensato – avranno certamente pensato che si trattava di tre persone squilibrate. “E’ Marte!”, no, no, “Urano”, “Ma Venere stava lì”, in una orchestra di voci che spostava un po’ i Pianeti qui e là, saltando Principi di Elongazione e regole astronomiche, per sorridere.
Tutt'e tre sottobraccio, ci siamo dirette alla stazione, e ci siamo salutate come accadeva nei film in bianco e nero: lei che agitava la mano, in quel cappottino a quadretti, e noi con il naso schiacciato sul finestrino parlando a voce alta perché non si poteva abbassare il finestrino.
Il treno ci ha portato a casa, e ancora stamattina pensavo a quel cappottino a quadretti. Pensavo ad Urano, che ha ridotto le distanze e in una sola giornata siamo partite e tornate, ma soprattutto alla nostra Astrologia, signora incantata, che a volte crea legami e conoscenze in tempi non sospetti, per sostenerci reciprocamente quando la Vita tira colpi bassi. Camminare con accanto qualcuno, è meno faticoso, con simboli e geometrie celesti che dal di fuori sembrano follia, ma altro non sono che un linguaggio d’amore.
Vi abbraccio, Grazia
Torino, 10 Aprile 2022