Portafortuna stellari!

Se gli Amuleti e i Talismani non hanno età, dato che il loro utilizzo risale a una pratica ancestrale comune a tutti i popoli e fortemente ancorata ad una tradizione superstiziosa di cui sussistono al giorno d’oggi solo le tracce, la proliferazione dei portafortuna, nel senso ristretto del termine, cioè di ‘ciondolo senza grande valore magico ambasciatore di buoni auspici’ è invece recente. La si può datare intorno al XIX secolo.
Tutto comincia con l’’egittomania’ che colpisce la Francia all’inizio del XIX secolo. Napoleone, reduce dalla campagna d’Egitto, porta in patria scarabei e sfingi in miniatura che incantano le leganti parigine. I gioielli antichi, come le catenelle ed i cammei, erano già stati riscoperti all’epoca del Direttorio: i ciondoli e gli orecchini si aggiungeranno alla panoplia.

L’Imperatore dei francesi istituirà persino un premio per ricompensare i migliori artigiani orafi: si rinnova così in quell’epoca la passione per le scene mitologiche e per i simboli.
Nel XIX secolo la cultura araba inizia ad essere esportata dalle colonie del Nord Africa verso la Francia: la mano di Fatma, ad esempio, avrà un formidabile successo. Nel Nord Europa, per effetto del colonialismo, l’etnografia comincia a svilupparsi come nuova scienza, e nei ceti più agiati si afferma il gusto per i viaggi nei paesi esotici, per riportare souvenir locali. Ad esempio, uno dei portafortuna in voga alla fine del secolo è una lampada di Aladino in miniatura. Parigi lancia la moda dell’’uakiem’, una figurina d’oro cesellata che rappresentava la più famosa delle ballerine del Kampang, nel padiglione giavanese dell’Esposizione Universale.

Sarah Bernhardt si farà fabbricare una collana con undici scarabei e dall’America del Sud riporterà un vero capricorno: lo offrirà ad un’amica, Madame Theo, che lo sfoggerà al petto, appeso ad una catenina d’oro, nei salotti mondani di Parigi. Questi ultimi vedranno sfilare anche piccole lucertole e tartarughe dalla corazza incastonata di pietre preziose, naturalmente ancora in vita!
Nello stesso tempo, l’urbanesimo galoppante costringe i contadini ad adattarsi a nuovi modi di vita e i loro costumi si modificheranno di conseguenza. Gli oggetti feticci, un tempo ricavati in natura, sono ormai riprodotti artificialmente agli animali morti, si preferisce il loro doppione in argento, montato a gioiello. Il quadrifoglio essiccato è sostituito da quello in metallo, portato a ciondolo o a spillo da cravatta.

La bigiotteria, parallelamente, conosce una straordinaria evoluzione tecnica: si producono in scala semi – industriale anelli, orecchini, collane, braccialetti, spilli a partire da modelli standard; il numero degli acquirenti cresce progressivamente, le ragioni di acquisto variano. Dalla seconda metà dell’800 i gioiellieri adottano la tecnica del placcato oro, che sarà applicata a tutti i tipi di ornamento. Verso la fine del secolo, gli accessori femminili si arricchiscono di flaconi di sali, di carnet di ballo, di ventagli e specchietti, impreziositi da simboli.

Lo stile liberty coltiva e rinnova questo simbolismo, esalta il senso del fantastico e sviluppa una serie di motivi floreali carichi di significato che alimentano il culto dei portafortuna. Alcuni gioiellieri lanciano persino spilli da cravatta fabbricati con chiodi per ferrare i cavalli. L’originalità si spinge ancor più lontano si fabbricano addirittura portafortuna a forma di WC, sormontati dal numero 100. Tutto può portar fortuna, basta che brilli!
Il francese Lionel Bonnemère consacrerà gli ultimi vent’anni della sua vita, tra il 1885 e il 1905, a collezionare e catalogare i portafortuna popolari, e come lui, in Italia, Gaetano Perusini, con la collezione ereditata dal Sovrano Ordine di Malta, e Giuseppe Bellucci, il quale vantava una collezione di 8562 pezzi!

Raphaele Vidaling, Il Cofanetto Portafortuna, L’Ippocampo, 2003