Stonehenge: un calendario non scritto, immortalato nella pietra!

Perché gli uomini dell’Età del bronzo avrebbero dovuto preoccuparsi di ciò che accadeva nei cieli? Come ho già dichiarato, il movimento ciclico del Sole, della Luna, dei Pianeti e delle stelle rappresenta un genere di perfezione irraggiungibile per i mortali. Il regolare verificarsi del tramonto del Sole e della Luna può aver fornito agli antichi un senso del tempo preciso e ordinato, un pilastro stabile a cui potevano ancorare i propri pensieri e comportamenti. Era facile per loro seguire il Sole ovunque andasse, e annotavano le sue apparizioni e sparizioni con molta cura. Il ritorno del dio celeste in un certo punto sull’orizzonte costituiva uno dei numerosi segni naturali che indicavano quando era il momento di seminare e di piantare, quando la acque del fiume più vicino stavano per straripare, quando si approssimava la stagione dei monsoni.

Semina e raccolto erano probabilmente regolati da una serie di eventi celesti.
Non corriamo certo il rischio di sopravvalutare l’importanza che le previsioni e l’attenersi ai cambiamenti stagionali avevano per queste popolazioni. Per loro il tempo era l’attività stessa. Non si guardava l’ora sull’orologio, ma la si viveva. Per noi è difficile apprezzare la capacità di farsi un’idea del tempo osservando il cielo, perché nella nostra vita di tutti i giorni non abbiamo più bisogno dell’astronomia pratica. Per questo tendiamo a prestare scarsa attenzione ai cieli, a parte casi particolari. Possiamo goderci un tramonto, gettare un’occhiata all’uomo sulla Luna, osservare la stella della sera, ma non ci verrebbe mai in mente si collegare queste osservazioni casuali con le date da fissare per un appuntamento o per programmare una attività. Gli orologi artificiali che scansiscono le nostre attività quotidiane ci danno una visione distorta della dipendenza del tempo umano dai fenomeni che si verificano in natura e nei cieli.

Ma l’astronomia preistorica non si limitava a calcolare il tempo. L’osservazione del cielo influenzava molti e diversi aspetti della antiche culture. Troviamo infatti il Sole, la Luna e le stelle nei miti, nella religione e nell’astrologia. I corpi celesti deificati erano oggetti di culto e come tali facevano parte delle decorazioni nei templi. Erano inoltre simboleggiati in sculture e in altre opere d’arte. Convinti di vivere in un universo animato di cui facevano parte divinità celesti e terrestri che, combattendo guerre interminabili, amando e odiando, vivendo una vita ultraterrena dopo la morte, costituivano una loro estensione o qualcosa di simile, molti dei nostri antenati che seguivano il corso degli astri responsabili del tempo associavano riti o rappresentazioni riguardanti funzioni vitali a giorni speciali nel calendario della natura.
Organizzavano feste e facevano offerte per pagare i propri debiti agli dèi e assicurarsi così un anno di abbondanza o forse per propiziarsi un buon raccolto dopo tempi difficili. Gli antichi parlavano letteralmente al sole e alla luna, e conversavano con i pianeti.

In questa visione d’insieme, piantare una serie di indicatori nel terreno per rappresentare graficamente le posizioni degli dèi era un semplice e antico atto di buon senso. Congegni che prevedessero i fenomeni celesti con molto anticipo offrivano a un gruppo di persone un potente vantaggio sui loro vicini meno informati. Lo spazio entro il quale seguivano gli dèi del cielo e parlavano con loro era considerato, con ogni probabilità, un terreno inviolabile, uno spazio sacro amministrato dai più saggi.
Non c’è bisogno della matematica o della scrittura, e ancora meno di telescopio e di computer, per praticare questo genere di astronomia, mentre sarebbe utile cercare di capire come il cielo fosse legato alla concezione del mondo di un certo popolo, in quale rapporto fosse con la sua religione, con la sua politica e la sua economia. Per riuscirci dobbiamo evitare di sovrapporre le nostre convinzioni sulla natura alle loro. Soprattutto dobbiamo fare attenzione a non separare il mondo naturale dal nostro comportamento quotidiano come abbiamo fatto nella nostra cultura, perché in questo caso correremmo il rischio di ridurre tutti gli astronomi, quelli del passato e quelli del presente, a scienziati interessati soltanto alla quantificazione, che si servono di attrezzature tecnologicamente sofisticate per convalidare le proprie ipotesi sull’andamento della natura.
In base al materiale che ci hanno lasciato da analizzare e soppesare, che cosa possiamo dedurre sul modo in cui i costruttori di Stonehenge usavano il cielo come una via per scoprire significati nel mondo in cui vivevano? Come potrebbero aver usato ciò che vedevano per ordinare e strutturare le proprie credenze sul mondo che li circondava? E, soprattutto, come conciliavano gli allineamenti di Stonehenge con la loro concezione del mondo?

La mia impressione su Stonehenge, mentre vi camminavo attorno e quando poi mi fermai al centro, fu quella di trovarmi in un santuario, in un luogo di riunioni, in uno spazio per la gente: un posto molto speciale, costruito su una scala imponente e con diversi materiali preziosi come le pietre blu e le sarsen.
Qualunque cosa fosse, per me Stonehenge era straordinario e mi incuteva soggezione.
E.C. Fernie, storico dell’architettura, ha paragonato il ferro di callo di triliti e il viale di accesso al deambulatorio e all’abside di chiese medievali come la cattedrale di Canterbury. Rodney Castelden lo considera il più antico dei cerchi magici, una costruzione che alimenta una tradizione di cui ci sono tracce in tutta l’Europa, fino ai giorni nostri.

I mistici sono convinti che ci si possa proteggere magicamente disegnando un cerchio attorno al luogo in cui si trova.
Nel Medioevo i maghi lo facevano per tenere lontani gli spiriti o per salvaguardare del demonio.
Fare un passo al di fuori del cerchio, anche soltanto spezzando la circonferenza con un braccio o con una gamba, significava andare incontro ad un disastro.
Spesso i maghi usavano un picchetto e una fune per tracciare due cerchi concentrici, e l’anello tra i due serviva come spazio dove scrivere le formule magiche che potevano agevolare i contatti con il mondo dello spirito. Talvolta invece si portavano appresso cerchi di carta ripiegati da tirar fuori nel momento in cui avessero colto l’avvicinarsi di un presagio. Più di duemila anni fa, gli architetti etruschi costruirono grandi città preromane, ma non prima di aver chiesto ad un indovino di individuare il sito più favorevole. Il mago ammazzava una pecora, ne prendeva il fegato e fissando quella consapevolezza rosso vivo leggeva letteralmente i pensieri degli dèi. Una volta scelto il sito, consacrava il lavoro tracciando un profondo solco attorno all’area in cui sarebbe stata costruita la città. Un migliaio di anni prima, più o meno al tempo in cui Stonehenge fu costruito il cerchio di pietre sarsen, i sumeri scrivevano preghiere su tavolette di argilla destinate a cerchi protettivi.

Gli abitanti di Stonehenge si limitavano a osservare il sorgere del Sole oppure erano convinti di poter fare sorgere il Sole? Le forze animate dell’universo si univano alla gente di Stonehenge per festeggiare, recitare e danzare con loro dentro il cerchio magico? Le pietre stesse erano percepite come esseri animati, proprio come gli uomini che le avevano posizionate? I partecipanti danzavano con megaliti verticali, incoraggiando gli dèi celesti a percorrere il loro cammino, preparandosi ad accoglierli non appena le abbaglianti luci celesti fossero giunte nel punto auspicato? La pianta circolare di Stonehenge, replicata più e più volte nel corso di duemila anni, poteva costituire un riferimento al disco solare da cui tutti dipendevano per il cibo, il clima caldo e la vita? Stonehenge fu sempre aperta al cielo, e se la posizione leggermente eccentrica della ‘pietra del tallone’ potrebbe far sorgere qualche dubbio, il viale principale fu sempre orientato, con maggiore o minore approssimazione, verso l’estremo nord del sole che sorge.

Quando il dio Sole finalmente si presentava all’appuntamento annuale, mentre i suoi adoratori erano riuniti nel cerchio magico, questi ultimi potevano godere di una veduta straordinaria dei suoi raggi rosati che baluginavano sopra la ‘pietra del tallone’. Due pietre erette appaiate, situate nel portale interno (ai margini del fossato e dei terrapieni circolari) incorniciavano il sorgere del sole rendendolo ancora più suggestivo.
Sono convinto che, se Stonehenge aveva qualcosa a che fare con l’astronomia del sole e della luna, l’associazione tra la sua architettura e il cielo era molto più vicina alla rappresentazione teatrale che non alla scienza esatta. Penso che Stonehenge sia stata costruita per elaborare l’entrata del dio Sole nel santuario circolare. Doveva tracciare sia il suo percorso sia quello frammentato della sua argentea rivale dal congegno mutevole, che migrava ancora più lontano verso il clima del nord e quello del sud. Nella Gran Bretagna meridionale il solstizio di giugno era il momento in cui ci si aspettava un abbondante raccolto, poi il sole avrebbe seguito il suo percorso più elevato inclinandosi attraverso il cielo, dando inizio ufficialmente al culmine della stagione agricola.

Una volta riconosciuto il Solstizio d’Estate a Nord, perché sottolineare anche quello invernale a Sud? Qui entrano in scena gli altri allineamenti delle pietre stazione e l’archivolto del grande trilite. Non credo che fossero disposti così solo per rispettare una certa simmetria. Mirare al punto in cui il dio Sole migrava d’inverno può essere stato un atto perfino più importante che non segnare il suo limite di escursione estivo. Quel punto infatti indicava la stagione più sterile dell’anno, il momento del ciclo annuale in cui, forse più che in ogni altro periodo, la gente andava in cerca di un contatto con la divinità che dà la vita. In effetti, in questo giorno la vista è tanto suggestiva quanto quella del momento che vi corrisponde d’estate, perché camminando per il viale d’accesso fino al centro del cerchio nel giorno del tramonto di metà inverno, ci si trova davanti al sole e lo si osserva mentre il ferro di cavallo del trilite lo avviluppa. Questo è il momento di supplicare il Sole di tornare, perché in questa stagione dell’anno ha già trascorso fin troppo tempo nel mondo più in basso. Forse il dio ci lascerà per sempre. Dobbiamo dimenticare le nostre radici e seguirlo?
Ma che posto avrebbe la Luna, secondo un ragionamento logico, in questo quadro? Cercando le Eclissi di Luna Piena, forse Gerald Hawkins si avvicinò a un aspetto ancora più importante dell’osservazione lunare, che si fonda a ragion veduta sugli allineamenti di Stonehenge con punti estremi raggiunti dal Sole sull’Orizzonte. Oltre a diffondere una luce vivida, la Luna Piena imita il Sole come se fosse la sua immagine speculare. Passa alta nel cielo verso il Solstizio d’Inverno e se ne sta in basso nel cielo estivo. Come dicono gli antichi miti babilonesi della creazione, vedrai sempre la Luna sorgere esattamente di fronte a te quando il Sole scompare dietro di te. Per un breve momento, al tramonto del Sole, sia il Sole che la Luna sono visibili sugli orizzonti opposti. Vedere per credere. E’ dunque comprensibile che nelle civiltà di tutto il mondo il Sole e la Luna rappresentano le due metà complementari di un dualismo cosmico.

Nella notte di Luna Piena, il dio o la dea lunare si incarica di illuminare il mondo. Mentre il grande ‘illuminatore’ del giorno scompare dalla vista, il disco lunare sale gradualmente, diventando sempre più splendente. Questo è l’unico giorno del mese che porta luce dall’alba al crepuscolo e poi di nuovo indietro fino all’alba. Il sorgere della Luna Piena a metà inverno, a Stonehenge, può essere ancora più abbagliante del sorgere del Sole a metà estate. Si verifica sempre entro 10° dalla ‘pietra del tallone’ e sempre nello stesso giorno in cui il Sole tramonta nell’archivolto del trilite. La numerazione delle buche collocate al di fuori del cerchio di sarsen forse indicava, ancora una volta e intelligentemente con la figura del cerchio, i giorni del mese lunare. Quando la numerazione di queste buche, che inizia dove si apre il cerchio, ricomincia dal punto in cui si apre il cerchio interno, ci si aspetta di veder apparire un’altra luna piena.

I costruttori di Stonehenge si erano forse spinti oltre? Avevano riconosciuto le stazioni lunari e il ciclo di 19 anni della luna? In questo caso, avevano anche scoperto un modo per usare questo periodo allo scopo di prevedere le eclissi e magari anche individuato in un calcolo per generare queste previsioni? Per rispondere a questi interrogativi dobbiamo raccogliere nuovamente tutte le prove. Se la risposta è sì, rimarremo sorpresi dalle straordinarie capacità di questi antichi astronomi.
Ricordiamo la prova dell’allineamento. Come aveva mostrato Hawkins, a Stonehenge c’erano numerosi allineamenti con la luna che supportavano l’idea che i costruttori fossero interessati a tracciarne il percorso durante lunghi periodi di tempo. Sappiamo anche che c’erano dei ‘Pali A’ adiacenti alla ‘pietra del tallone’ che un tempo erano di legno; questi pali, inoltre, possono aver indicato il procedere della luna verso la sua stazione settentrionale nel diciannovesimo anno. All’interno del fossato e del terrapieno si trovano le quattro pietre posizione. Gli allineamenti tra queste pietre indicavano la distanza massima lungo l’orizzonte tra il Sole in una delle sue stazioni e la Luna nella sua stazione opposta. Come sottolineò Hawkins, una differenza di 90° tra questi allineamenti appaiati si verifica soltanto vicino alla Latitudine di Stonehenge, il che fa pensare al rettangolo di pietre posizione come a un luogo unico, un’estensione di km 90 che attraversa la Gran Bretagna da Est a Ovest. Malgrado ciò, ritengo improbabile che un piccolo gruppo di individui intenti a seguire la Luna si sia messo a vagare per le brughiere della Britannia meridionale per scoprire il luogo preciso in cui costruire un ‘rettangolo magico. ’

Questi allineamenti sono sufficientemente accortati da condurci alla previsione delle Eclissi? Forse, quelli che a noi sembrano indicatori cronologici possono esser stati usati semplicemente per incorniciare il levarsi della Luna così come la porta della ‘pietra del tallone’ incorniciava i tramonti del Sole per renderli più suggestivi, invece di avere lo scopo di prevedere dove la Luna sarebbe passata in futuro. In realtà, i confini lunari possono non esser stati rilevati al fine di prevedere le Eclissi. Ricordiamo che l’arrivo della Luna Piena a una stazione dipende dal tempo che impiega uno dei suoi Nodi a ritornare nello stesso punto sull’Eclittica (quello che gli astronomi moderni chiamano il periodo di regressione dei Nodi Lunari). Per esprimere lo stesso concetto in rapporto all’osservazione dell’Orizzonte, possiamo dire che questo periodo riconduce la Luna nello stesso punto estremo dell’Orizzonte. Ma poiché non è un multiplo esatto del mese draconico, condizione necessaria per individuare i cicli di Eclissi, le Eclissi di Luna non si verificheranno necessariamente nello stesso punto nei cicli successivi.
Il periodo di stazione lunare di 18 anni e 2/3 (per la precisione di 6797 giorni) studiato da Hawkins viene spesso confuso con il ciclo metonico, un ciclo di 6940 giorni così chiamato da Metone, l’astronomo greco che V secolo a.C. che lo scoprì. Ricordiamo che questo secondo ciclo indica il periodo in cui una certa fase della Luna si ripresenta nella stessa data dell’anno. Il ciclo metonico, infatti, a differenza del periodo di stazione lunare, è un multiplo intero sia dell’intervallo draconico lunare che di quello sinodico, ed è probabile che un’Eclissi lunare si verifichi alla stessa data di un’Eclissi del ciclo precedente.

Stonehenge rappresenta dunque un caso di calcolatore di Eclissi campato in aria? In Stonehenge Decoded, Hawking addusse scarse motivazioni per includere le stazioni sull’Orizzonte lunare nelle verifiche degli allineamenti di Stonehenge con i punti solari più lontani. Sembra che li abbia cercati come il passo successivo più logico dopo la scoperta che Stonehenge indicava i punti estremi dell’Orizzonte solare. A quanto pare, una volta deciso che aveva raggiunto una correlazione di allineamento lunare positiva, incominciò ad analizzare le buche di Aubrey come se fossero state la numerazione di un’Eclissi stagionale: solo a questo punto avanzò l’ipotesi che Stonehenge fosse un Osservatorio per le Eclissi, evidentemente convinto che i punti estremi lunari fungessero da strumenti per prevedere Eclissi.

Ricordiamo che Hawkins riteneva anche possibile che l’affermazione di Diodoro a proposito di un tempio sull’isola degli Iperborei potesse riferirsi a Stonehenge e che il periodo di 19 anni citato in quell’affermazione potesse venire associato alle stazioni lunari e al periodo di regressione nodale. Ma l’ultima frase della citazione da Diodoro (‘L’isola si troverebbe sotto le Orse e sarebbe abitata dagli Iperborei… Sull’isola ci sarebbe poi uno splendido recinto di Apollo e un grande tempio adorno di molte offerte, di forma sferica… Dicono poi che da quest’isola la Luna appaia a pochissima distanza dalla Terra, e con alcuni rilievi quali quelli della Terra chiaramente visibili su di essa. Si dice inoltre che il dio venga nell’isola ogni diciannove anni, periodo in cui giungono a compimento le rivoluzioni degli astri. ’) identifica chiaramente il periodo di 19 anni con il ciclo metonico e non con il ciclo di regressione nodale. Anche Alexander Thom ritenne che la ricerca di osservazioni delle stazioni lunari da parte degli antichi avesse un senso, ma per una diversa serie di motivi. Arguì che ‘uomini che vivevano sulle coste dell’Oceano occidentale devono aver notato la connessione tra le maree e la luna. ’
Dichiarò che questo era un altro elemento importante che poteva aver indotto le popolazioni megalitiche a studiare il moto della Luna. Forse, gli abitanti di Stonehenge, scrutando il cielo, erano in grado di prevedere se una Luna Nuova o una Luna Piena sarebbe sorta in concomitanza con un’Eclissi di Luna o di Sole. Portando alle estreme conseguenze il suo ragionamento. Thom concludeva che ‘il ciclo di 18,6 anni si imponeva (….) e un’analogia con uno studio probabilmente precedente dei Solstizi faceva pensare all’uso di un indicatore sull’orizzonte in recessione.

Queste assunzioni, insieme alla riflessione che presto o tardi qualcuno avrebbe notato che le Eclissi si verificavano alla Luna Piena o Nuova più vicina alla data in cui l’astro raggiungeva le sue stazioni, giustificavano la scoperta successiva, da parte di Thom, di minuscole variazioni nei movimenti della Luna, da cui deduce che gli astronomi tracciavano le varie linee passando per l’arrivo del disco lunare in particolari avvallamenti e tacche sull’Orizzonte.
Sia secondo Thom che secondo Hawkins, il desiderio di prevedere Eclissi stagionali è la ragione di tanto interesse per le stazioni lunari. (Cicli di Eclissi che cadono nello stesso punto dell’anno solare sarebbero state più probabilmente associate a un cambiamento stagionale e forse più facili da individuare). Sia Hawkins che Thom ritraggono i costruttori megalitici come un popolo evoluto la cui fantasia veniva ripetutamente stimolata dall’osservazione di questi suggestivi fenomeni. Erano gente che desiderava poter controllare la previsione delle Eclissi.

Quando riusciamo a varcare la soglia del tempo nel VI millennio dell’esistenza di Stonehenge vediamo che è stato interpretato e reinterpretato molte volte. Il XX secolo, che potremmo definire l’era della scienza quantitativa che si avvale del computer, ci ha dato una versione contemporanea di Stonehenge.
Era un luogo designato al calcolo scientifico delle previsioni astrali. Rileggendo Hawkins e Thom col senno di poi, risulta evidente che la loro generazione visse in un ‘epoca – gli anni Cinquanta e Sessanta – in cui l’ambito della cosmologia suscitava interesse, ma anche molte interpretazioni complesse e contrastanti. A quell’epoca la teoria dello stato stazionario, secondo la quale l’universo era eterno, priva sia di inizio che di fine, stava crollando sotto le prove sempre più numerose del fatto che la creazione avvenne con un’esplosione istantanea tra i dieci e i quindici miliardi di anni fa (il big bang). In quel periodo anche i metodi per eseguire i calcoli scientifici furono sottoposti a una revisione drastica. Come osserva Hawkins, c’è un solo modo per stabilire se gli allineamenti da lui misurati possedevano un significato celeste: ‘Abbiamo bisogno di misurazioni e raffronti precisi, di procedere per tentativi innumerevoli volte: occorre molto più tempo di quanto possa averne a disposizione io. C’è bisogno della macchina. ’
In effetti Hawkins finì per usare un computer per dimostrare che la stessa Stonehenge era un computer.

Negli ultimi decenni le riflessioni, avvalorate da nuove misurazioni e analisi dei siti megalitici eseguiti da esperti in svariate discipline hanno ridimensionato, almeno all’apparenza, le presunte motivazioni scientifiche dei nostri arcaici antenati. Il compromesso a cui il nuovo millennio sembra voler arrivare lascia spazio ad una fusone di ideologia scientifica con il culto religioso e le preoccupazioni sociali. La Stonehenge post-moderna riconosce la diversità delle componenti connesse tra loro che rendono civilizzata una cultura.
Anche se Hawkins e Thom si spinsero troppo oltre nelle loro valutazioni del livello di precisione delle antiche misurazioni e delle motivazioni per acquisire una conoscenza celeste, è giusto riconoscere che entrambi hanno rivelato una funzione astronomica precisa di Stonehenge e di altri siti megalitici. Gli allineamenti del Sole e della Luna hanno resistito alla prova del tempo, probabilmente le stazioni solari e lunari non avevano lo scopo di prevedere le Eclissi, ma di onorare gli dèi del cielo mentre andavano a occupare le posizioni a loro destinate, per quanto approssimativamente. Se insistiamo nel definire Stonehenge un Osservatorio, dobbiamo allora precisare che era un Osservatorio sacro. Io sono convinto che sia stato, per un periodo di tempo piuttosto lungo, uno spazio dedicato all’osservazione del cielo, un luogo in cui si assisteva tutti insieme agli incontri cosmici e si celebravano riti per gli dèi: queste cerimonie collettive servivano a tenere uniti i suoi abitanti. Se davvero veniva indicato l’arrivo del Sole e della Luna nelle loro postazioni, il congegno che le indicava aveva anche la funzione di un cronometro. Stonehenge è un calendario non scritto ma immortalato nella pietra, il più lontano da noi che possiamo immaginare quanto a concezione, progettazione e aspetto.

Anthony Aveni, Scale fino alle Stelle, Corbaccio Editore