Una Luna Esoterica per Fellini!

La Voce della Luna, uno dei film più famosi di Federico Fellini, è un vero compendio di simbologie lunari ordinatamente esposte, felicemente narrate, una accanto all’altra, come in un Museo dei Simboli che chi si reca al cinema accetta di visitare in un disordine apparente, nel quale nulla è casuale, o fuori luogo.
Così la Luna è subito acquatica ed achillea, come si conviene ad un mondo lontano del tempo in cui tradizione e mito si mescolano e l’uomo non ha ancora la forza di osservare il sole, preso dalla sua esistenza fatalista di larva lacustre.

Il pozzo segreto è così ispiratore di visioni oniriche quando il satellite vi si specchia nelle notti di Luna Piena fondamentali per il Calendario Lunare.
E’ il seno di Giunone, grande o gonfio di latte che ispira con la sua leggenda la formazione della bianca Via Lattea Celeste, ed è anche il seno ingenuamente lussureggiante e casalingo di uno spogliarello, senza pretese, riservato a passanti casuali favoriti dai raggi lunari. La Luna come archetipo del seno e del sesso femminile, come spicchio uterino e medioevale, è il senno sparso da uomini sensibili che non sanno accettare i ritmi crudeli di Kronos, il tempo, nemico ed avversario della levità lunare.
E’ favola, con la lunare scarpina di Cenerentola, è il gatto Gnau delle scorribande notturne, è la gran forma di formaggio, la tazza di latte della nostra infanzia, compagna dell’insonnia e dei pensieri cattivi di ognuno.

E’ religione, con i grandi simulacri della Madonna cristiana, bianchissimi come effigie della Luna Piena, così come sono piccolissimi e neri nell’iconografia della Luna Nuova. E’ sonno ristoratore rubato agli incubi, agli schiamazzi, è riposo nel Camposanto livido quasi più ospitale di case dalle inquietanti camere vuote di ogni cosa.
Là il musicista stregato dalla Luna si ricovera nel loculo e simula il riposo finale, dimenticando per un attimo il “diabolus”, l’accordo capace di spostare i mobili e sollecitare la sua psiche in modo perverso, apportatore di presenze magiche, occulte.

La Luna è romanticismo e innamoramento, memoria ed infanzia, latte ed abbraccio di nonna e di sorella (archetipo del femminile …) cantilena e temporale, grande albero scosso dal vento della vita, di cui subisce tuoni e fulmini. E’ poesia del lunare e cancerino Leopardi, intimismo di una recherche proustiana, sorella, madre, infanzia.
La scarpina argentata si adatta ad ogni piede, alla donna, al femminile, intercambiabile e mutevole come l’amore. La Luna è danza ed è folla dei ballerini, dei curiosi che attendono il recupero del lunatico Benigni sul tetto, chiede silenzio nel concerto Rock, esalta il Prefetto Villaggio in un attimo di perfezione commossa, quando la vita si apre in un valzer senza fine. E’ vecchiaia, ed ecco gli splendidi anziani, le barbe fluenti, dolci e protettive, anche attraverso il viaggio trionfale di un Padre Eterno inteso come gentiluomo di una campagna celeste.

La Luna si identifica con Lilith, nella assatanata sposa del debole Nestorino, soffocante e simile a una locomotiva, a un’Eclissi perversa. E’ melanconica come affezione profonda del vivere umano, come caducità della vita, come domanda molto al di là delle verità rivelate, che proprio perché insoddisfacenti creano nuove angosce.
E’ la grande frittata del padellone celeste, a base di gnocchi o di granoturco, non ha poi grande importanza. E’ la bellezza effimera di Aldina, espressione perfetta del temperamento lunatico insofferente e bislacco. Un sogno collettivo così esasperato da provocare la cattura della Grande Luna. Tutti abbiamo provato questo desiderio, che nel film diviene illusione globale, in presa diretta TV.

Nebbie e fumi, fuochi d’artificio e piogge battenti e purificatrici, accompagnano tutto l’impianto del film, come l’ombrello del prefetto, o gli occhialini di Benigni, che solo nell’ultima scena spariscono, quando egli ha catturato il suo spicchio individuale di Luna.
Solo un saturnino come Federico poteva cogliere ogni sfumatura interiore e cromatica del suo opposto zodiacale, quel Deus Lunus che sa essere passivo quando riceve i raggi solari ma, racconta la tradizione, diviene dispoticamente attivo e medianico quando li dispensa sulla vecchia terra sofferente.
Così il segno del Capricorno in cui ha visto la luce il regista si colora di biancore lunare, in alternativa al nero saturnino che, raccontano gli orientali, è colore di gioventù che non ha ancora subito il bagno latteo dell’invecchiamento.

Un gioco di simboli chiari come un mazzo di tarocchi che sfogliano la vita di tutti noi attraverso il filtro dell’unica carta lunare che diviene la vita stessa, un soffio, un’illusione, una percezione di mondi nei quali sono conservati in stanze vuote musiche e pensieri, sogni ed illusioni, tutto ciò che poteva essere e forse è stato, nella dimensione lunare …

Carta del Cielo di Federico Fellini, nato il 20 Gennaio 1920 alle ore 21 e 00 a Rimini (Fo)