La casa del mago!
Miei cari Amici delle Stelle,
ricorderò l’estate 2024 per una lettura speciale, che mi ha colpita profondamente. I libri sono un po’ come le case, non siamo noi che scegliamo, ma spesso sono loro che si presentano all’improvviso, senza che li abbiamo cercati.
C’è un’amica che vedo una volta all’anno, quando mi sposto con Alfredo da Torino al mare. Ci fermiamo dalle parti del Colle di Nava (dove nacque mio padre), per una sosta lungo il viaggio e ci fermiamo per un pranzo nel bosco, ospiti dell’amica Paola, una giovane creatura che insegna scienze forestali e mette in pratica le regole che trasmette ai suoi studenti, fa ricerche su piante che in passato venivano usate in cucina, osserva la volpe e numerosi volatili.
Quest’anno mi ha sorpresa con un dono inaspettato, un libro che ha subito destato il mio interesse, ‘La casa del mago’, di Emanuele Trevi. Parto sempre con diversi libri da leggere nella parentesi marina, ho iniziato la lettura con curiosità, conoscendo l’autore per alcuni articoli letti sui quotidiani. Non potevo supporre che avrei trovato a sorpresa la mia amata Astrologia, e addirittura un’amica romana, Luciana Marinangeli, ottima studiosa, e il celebre psicanalista Ernst Bernhard come autore della Carta del Cielo dell’autore. L’aver ricevuto ‘casualmente’ il libro come dono mi ha fatto pensare che il tutto sia stato creato da un sortilegio benevolo. Desiderando condividerne qualche pagina con voi mi sono segnata due parti salienti, che Elisabetta ha copiato diligentemente per poterveli proporre. Non solo, con mia sorpresa Alfredo ha voluto fare uno scatto speciale, di questo dono del Cielo: come potete vedere, dietro al libro c’è una casa illuminata, dono straordinario di un’altra amica, Cristina.
Buona lettura e buon cammino sotto questo Cielo, che non delude mai con le sue continue sorprese,
Grazia
“Tutto questo già lo sapevo; quello che non avrei mai creduto possibile è che nel fondo di un cassetto avesse aspettato per quasi cinquant’anni il suo momento il minuscolo, leggerissimo anello di una catena (si trattava in effetti di un piccolo foglio di carta velina) che collegava anche me in quella vecchia storia di maghi e apprendisti. Che questo accadesse proprio mentre cercavo, come se si trattasse di un animale inaspettatamente indocile, di assestarmi bene in groppa alla casa di mio padre, inalandone l’atmosfera di misteri indefinibili… potrebbe essere un caso ineccepibile di sincronicità. Ma non ho una grande inclinazione ad interpretare in modo vincolante i fatti che racconto. Di ogni storia, anche di quella confezionata con la maggiore efficacia, basterebbe tirare un filo per far venire tutto giù, riducendola a un nugolo di fatti insensati. Tanto più con storie di questo tipo, pescate dai fondali limacciosi della vita, della memoria, senza che ci sia bisogno di ricorrere ai trucchi sempre efficaci del mestiere.
Il narratore di fatti propri, l’autore di confessions, è sempre vittima di un duplice disagio: si sente incalzato alle spalle, mentre ciò che intravede davanti a sé lo deride e lo respinge. In ogni modo, le cose andarono così: una mattina, inconsuetamente presto, ho ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto. Era una voce femminile, che si presentò: Luciana Marinangeli.
Il nome non mi era nuovo, era quello di un’iniziata, di una conoscitrice di segreti. Doveva aver scritto dei libri sull’Astrologia indiana, o tibetana, non ricordavo bene. Dopo qualche prevedibile convenevole, la signora venne al dunque: aveva qualcosa per me, da parte di Ernst Bernhard. Pensai subito di dover chiarire un equivoco: mi perdoni, ma mio padre è morto, sta parlando con suo figlio, se posso esserle utile mi dica, ma lui non c’è più…
Ma no, mi rispose, so benissimo chi è lei e chi era suo padre. Aveva qualcosa da consegnarmi. Che passassi appena potevo da casa sua, e avrei capito tutto. Un giorno o due dopo ero a Trastevere, nel salotto di Luciana Marinangeli: un posto che ricordo accogliente, stipato di libri interessanti, soprattutto di letteratura francese. La mia ospite venne subito al dunque. Il segreto era contenuto in una busta sulla quale era scritto il mio nome.
Come forse sapevo, Ernst Bernhard era stato anche un grande astrologo: uno dei maggiori dei suoi tempi, in Europa; si faceva arrivare da una tipografia specializzata di Berlino degli schemi prestampati, di forma circolare, con elegantissimi Segni Zodiacali: da quella specie di base universale Bernhard procedeva a rappresentare, con fasci di linee variamente intersecati, il destino individuale, ovvero il quadro astrale, il Tema Natale. E così, informato del giorno della mia nascita (il 7 gennaio 1964) e dell’ora (le quattro del mattino), aveva pensato di calcolare la posizione dei Pianeti al momento del mio primo respiro, per farne un dono a mio padre. O magari a me direttamente, aggiunse sorridendo Luciana, perché mio padre, da parte sua, non si era mai preoccupato di andare a ritirare il regalo, né Bernhard glielo aveva spedito.
Provai gratitudine per quell’uomo sconosciuto, quel leggendario ebreo tedesco, e anche un po’ di imbarazzo per il comportamento scortese di mio padre, ma erano fatti loro.
Dopo la morte della moglie di Bernhard, Dora, le sue carte erano state a lungo ordinate e classificate, e tra i vari quadri astrali che per un motivo o per l’altro erano rimasti nel suo archivio – erano stati eliminati quelli dei morti e gentilmente consegnati quelli dei vivi, che ne facessero l’uso che volevano – c’era il mio.
Era bellissimo (osservazione tipica del profano, incapace di decifrare quel guazzabuglio di triangoli sovrapposti che univano veri punti della circonferenza zodiacale), e speravo di approfittare lì per lì di una consulenza: ma Luciana mi congedò, consigliandomi di trovare un bravo astrologo, se volevo capirne qualcosa.
Tornai a casa con la sensazione di aver ricevuto, più che un dono, un segnale. Un segnale che aveva atteso mezzo secolo per arrivare fino a me: era il mio nome scritto sulla busta, in una calligrafia così minuta da dare l’impressione di uno sgorbio involontario. Bernhard era morto pochi mesi dopo la mia nascita: non è che in assoluto i morti non comunichino con i vivi, semmai devono verificarsi determinate circostanze perché il messaggio arrivi al destinatario. Erano passati cinquant’anni da quei calcoli astrologici: un’inezia nella volta del cielo popolata dalle sue costellazioni, ma un’immensità quaggiù.
Una parte importante, preponderante del mio destino era trascorsa, si era consumata nel fuoco dell’irreversibile. Mettiamo pure che uno campi cent’anni: a cinquanta la bottiglia è mezza vuota. Ma era un pensiero troppo facile, troppo meccanico: chiunque è in grado di capire che, finchè rimane un solo giorno, una sola ora di vita, la forma del destino può cambiare completamente, come il senso di una mano di briscola al momento di calarne l’asso.
Ero uscito dalla casa di Luciana Marinangeli con la sensazione inebriante di vivere in un episodio di “Dylan Dog”. Avevo percepito nel suo sguardo, durante la visita e la consegna del quadro astrale, un velo di ironia: come se sapesse più cose di quelle che avrebbe potuto dirmi, e desiderasse finirla lì. Se ero alla ricerca di qualcosa, e quel dono poteva servirmi in questa ricerca, ne facessi l’uso che credevo. Luciana mi aveva anche regalato un grosso volume, curato da lei, di lettere che Bernhard e la moglie si erano scambiati tra il 1940 e il 1941, quando lui, in quanto ebreo e straniero, era stato rinchiuso in un campo di concentramento in Calabria, con il rischio molto concreto di finire nelle grinfie dei nazisti. Avevo sistemato il volume sulla scrivania di mio padre, accanto a Simboli della Trasformazione e agli altri libri che nel frattempo mi ero procurato per cercare notizie su Miss Miller. Adesso avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a decifrare il quadro astrale, che contemplavo percependone solo l’involontaria bellezza. Ma non era un astrologo in senso professionale che cercavo, semmai qualcuno che comprendesse il valore che avevano per me non solo il quadro astrale, ma le circostanze dei suo ritrovamento in quel particolare momento della mia vita.
Per fortuna, sapevo a chi rivolgermi. Vittorio Tamaro, che gli amici chiamano Toto, è un uomo schivo e profondo, che ha accumulato conoscenze preziose: dalle filosofie orientali alla poesia e alla scienza dei simboli. E’ leggero e intransigente: due virtù che raramente si accoppiano nella stessa persona. Forse con il passare del tempo è diventato un saggio; di sicuro possiede una delle principali prerogative della saggezza, la capacità di distinguere il futile dall’essenziale. Non fu facile trovarlo, perché è una di quelle persone che tengono il telefono più spento che acceso, ma alla fine riuscii a parlargli. Era in montagna, occupato in certi studi che riguardavano Rilke e i geroglifici egiziani, se bene ricordo, ma entro pochi giorni sarebbe tornato a Roma. E così mi ritrovai nello studio di Toto, che abita non lontano da casa di mio padre, in una stradina di vecchi e dignitosi villini liberty dove il tempo – anziché fermarsi, come vuole il modo di dire – sembra non aver mai messo piede. Le mie conoscenze astrologiche sono vaghe e confuse; d’altra parte, considero l’Astrologia una scienza esatta, attendibile come la geometria o la chimica. Ci saranno margini di pura fantasia e arbitrio, come in tutte le scienze, ma perché negare la premessa fondamentale dell’Astrologia, ovvero che noi veniamo al mondo in un dato momento, e che questo momento è necessariamente decisivo per la forma che assumerà il nostro destino? Si lacera la placenta, l’aria irrompe nei polmoni, iniziamo a rotolare nel tempo, sul piano inclinato dell’irreversibile. Sempre più veloci: da un nulla ad un nulla, se vogliamo. Come quello che viaggiava a cavallo di una palla di cannone. Tutto giusto: ma c’è dell’altro, e ce ne portiamo dietro l’ombra, il sospetto, il presentimento. Il tempo ha una doppia natura, è un ibrido inconcepibile, e quella che per i singoli mortali è una freccia, per i corpi celesti è una ruota. Scrutando gli astri, noi in realtà esprimiamo la più originaria aspirazione umana, la speranza di essere prima o poi riassorbiti nel ciclo, affrancati dall’illusione del passato e del futuro. Quel pomeriggio, con la pazienza che si usa con i profani, Toto mi spiegò molte cose sui transiti, le opposizioni e le congiunzioni celesti del mio Tema Natale. Avrei dovuto registrare, prendere appunti, chiedere precisazioni su quello che non capivo. Ma ero preda di un’emozione più forte e inaspettata di qualsiasi conoscenza, come se tutte quelle costellazioni e quei pianeti sdegnosi di compagnia fossero le candeline di una torta cosmica e io il bambino incitato a soffiarci sopra. Di una cosa però mi ricordo benissimo: Toto mi avvertì della particolare influenza che Nettuno aveva esercitato sulla mia vita. Non vorrei essere approssimativo al riguardo, ma l’influenza di questo pianeta remoto e gelido, sdegnato anche dagli scrittori di fantascienza, può collegarsi a un istinto di fuga, di sottrazione alle responsabilità comuni. Nettuno può orientare i suoi sudditi, se così vogliamo definirli, verso un’esistenza chimerica, metamorfica, eccessivamente fondata sull’immaginazione. Be’, da questo punto di vista sono un vero figlio di Nettuno. A cinquant’anni, potevo solo dire di aver cambiato molte cose e iniziato molte vite, senza la tenacia di proseguire su una strada, una volta imboccata. Alla prima difficoltà mi ero sempre dileguato, e in un certo senso tutto quello che avevo fatto fino a quel momento non era altro che un leggero schizzo a marita facile da cancellare. Ero arrivato ad un’età più che matura abbandonando furtivamente, come un sacchetto di spazzatura, il fardello delle premesse, sempre attento a non innescare conseguenze rilevanti. Non bisognava scomodare né il dottor Bernhard né Toto per stabilire il mio carattere. Ma Toto aggiunse qualcosa che mi colpì: tutto quello che nell’esperienza è letterale e concreto a un certo punto può diventare una metafora, e dunque un passaggio dall’esteriore all’interiore. Forse nel futuro non avrei avuto più bisogno di fuggire come un ladro da affetti, abitudini, case, programmi. Non avrei più avuto bisogno di coinvolgere il mondo perché potevo continuare a fuggire all’interno di me stesso.
Quando uscii da casa di Toto, tenendo in mano il quadro astrale di Bernhard nella sua cartellina trasparente, il fulgore di un grandioso tramonto romano si riversava nelle strade incendiando la sommità delle case, così sigillate nel loro silenzio da sembrare dipinte. La vicinanza dell’Ambasciata di Israele, con tutti i suoi cordoni di sicurezza, contribuisce a fare di quella zona un luogo trasognato e lievemente metafisico, più adatto ai gatti che agli esseri umani. Dall’altra parte di una lunga strada in salita, oltre il muro del giardino zoologico, cumuli purpurei e rosati di nuvole procedevano verso nord. Mi sentivo eccitato, rivolto al futuro. Le parole di Toto avevano sollecitato un lembo del velo dipinto. Lento e veloce nello stesso tempo, il movimento degli astri finisce sempre per accordarsi al più intimo desiderio di noi singoli mortali, sbatacchiati da dubbi e paure: essere guidati e sostenuti da una volontà metafisica benevola e lungimirante. Quella sera mi era rimasto giusto il tempo di passare al supermercato prima che chiudesse. Entrando, avevo appoggiato il quadro astrale sul fondo del carrello – impossibile che lo dimenticassi lì! E quando arrivò il momento di sistemare la spesa sul nastro della cassa, l’ho dimenticato lì, perdendolo per sempre.”
Emanuele Trevi, La casa del Mago - Ponte alle Grazie - Adriano Salani Editore, Milano