Le (mie) 7 Principesse!

Esistono astrologi poeti o poeti astrologi? Può sembrare una domanda difficile. Ho trovato la risposta leggendo ‘Le sette principesse’, antico poema capitato per caso nelle mie mani nella versione italiana. Me lo donò un’allieva alla fine di un corso di Astrologia, qualche anno fa. Era bellissima, frequentò il corso con il suo giovane marito, innamorati e felici. Il destino volle che lei morisse poco tempo dopo, ecco la ragione per cui ho considerato la lettura del libro come un dono postumo che lei mi aveva offerto. Ed ecco il primo oroscopo in un cui mi sono imbattuta nel poema ‘Gli Astrologi, alchimisti del Cielo, dotti di Sole e di Luna, nelle bilance pesatrici del Cielo trovarono un vittorioso Oroscopo di grandezza e potenza; l’Ascendente suo era il Pesce, e Giove si trovava nel Pesce, e Venere era con lui come rubino con il giacinto; la Luna era nel Toro, e Mercurio nei Gemelli e Marte era nel suo culminare in Leone, e Saturno nella Costellazione dell’Acquario aveva dato annuncio di vanificazione al nemico; la Coda del Drago era di fronte a Saturno, e nell’Ariete era situato il Sole, ogni astro, insomma, dava testimonianza, come Giove, della felicità sua.’ La presentazione del protagonista Barhàm avviene attraverso il suo Oroscopo!

Il ‘grande’ Nizami è vissuto probabilmente tra il 1141 e il 1204, risiedendo praticamente sempre nella sua città natale, Ganjé, che si trova oggi nella regione dell’Azerbaigian. Il mio interesse si è fatto via via più vivace, quando ho realizzato che si trattava dei Sette Pianeti della tradizione, e che il poeta Nezàmi gli aveva dedicato una composizione nella quale a ciascuno dei medesimi era dedicata una serie di ‘storie’ differenti da quelle che noi tutti conosciamo attraverso la tradizione greca e classica, ma altrettanto significativa, a conferma, ancora una volta, dell’universalità del Mito.

Nezàmi non fu uno scienziato-astronomo come i celebri Tolomeo o Abu Ma Sar, capace tuttavia di illustrare il Cosmo in un magico affresco che traspone i Miti Greci con mirabile stile. Si tratta – affermano gli esperti – del più grande narratore della letteratura persiana classica. La madre del poeta era turca, e curda la moglie prediletta.
Orfano fin da ragazzo, Nezàmi conosceva musica, medicina, Astronomia ed Astrologia, indissolubilmente unite. Musulmano sunnita, esprime spesso disprezzo per le esagerazioni misticheggianti, rispettando i principi senza enfatizzarli troppo.
Le 7 Principesse costituiscono il quarto poema di una serie di cinque, tra I quali gode di particolare rinomanza ‘Leila e Majnon’, definite ‘la più popolare storia d’amore di tutto l’Oriente musulmano. ’

Protagonista assoluto delle Sette Principesse è Re Bahram Gur, che fa costruire per le sue sette spose altrettanti padiglioni nel giardino del suo palazzo persiano, e nei quali egli si reca in ciascuna sera di una settimana, della settimana che simboleggia l’intera sua vita.
Due caratteri formano il poema nella sua struttura: lo studio dell’Uomo nelle sue connessioni con la regalità sacra e quello puramente astrologico-simbolico dall’altro.
Si deve ricordare che si tratta di un periodo ancora aulico per il concetto di predestinazione, non ancora in conflitto con il potere religioso, e comunque in via di analisi filosofica da parte di Nizami.
È questo il punto importante, là dove si ribadisce l’universalità del Mito, non più nelle sue espressioni primitive, ma attraverso il contenuto e il significato pregnante dei simboli impiegati, delle loro allegorie e raffigurazioni colme della più apprezzabile fantasia.
L’impostazione islamica, che individua il piacere come elemento positivo ed armonico della vita umana è molto più favorita rispetto a quella ascetico-cristiana tipicamente triste e medievale, benché non tralasci mai valutazioni circa la caducità della vita e del piacere medesimo.

Nell’oroscopo del principe Bahram è subito evidente un errore tecnico, non potendo Mercurio, per ragioni di Elongazione, trovarsi in Gemelli essendo il Sole in Ariete, ma è intuitivo che il protagonista è anche l’archetipo del destino umano, è Atlante che regge il suo personale grafico zodiacale.
L’importante componente pescina non può non richiamare l’Era omonima, una sorta di garanzia di successo, rinvigorita da alcuni Aspetti di tutto rilievo: il Trigono Giove-Marte, la Luna taurina nel Segno di Venere, arte, buon gusto, oltre ad una visione progredita e giocosa del femminile.
È Intelligente, dunque, Re Bahram, beniamino del Cielo e dei Pianeti.

Gli stessi astrologi che ne traggono il Tema Natale consigliano una educazione specialissima da svolgere in Arabia.
La passione creativa della Luna taurina si manifesta ben presto: il giovane desidera un castello e gli viene proposto un architetto ‘straordinario, noto come maestro di mille pittori, osservatore attento degli astri e conoscitore di altezze celesti. Di qui scaturisce il significato esoterico delle costruzioni ideate e realizzate per opera sua. Non solo consigliato da dotti studiosi di Astronomia e Astrologia, Re Bahram, ma esperto egli stesso: ‘Nei calcoli con le Tavole d’Astri e l’Astrolabio strappava il velo al volto dell’invisibile, e scioglieva il nodo dei problemi della volta celeste, operando con l’Almagesto. ’
Il coraggioso protagonista non tarda ad assumere ogni virtù: ‘Nelle armi, nell’equitazione e nella corsa, strappò la palla al Cielo giocatore (ecco il destino!) e divenne così grande che strappò gli artigli al Leone e strangolava i lupi.


Non a caso la tradizione persiana di Marte è Bahram, allo stesso modo col quale il greco Kronos, il tempo, corrisponde a Saturno e il vocabolo ha entrambi I significati.
Il protagonista delle Sette Principesse vuole quindi identificarsi con il Pianeta Marte nella sua versione terrena, ciò che può essere confermato anche delle imprese compiute dal Re.
La presenza nel suo Tema Natale del Sole in Prima Casa nel Segno dell’Ariete gli conferisce senza dubbio grandi energie, e lo porta a vivere le esperienze maggiormente significative ed evolutive nella piena maturità interiore. Dopo aver vinto guerre e tornei, egli chiede infatti un giorno di visitare un remote padiglione chiuso a tutti, una stanza nella quale ‘erano splendidamente dipinte sette effigi’.
Esse suggeriscono il destino iniziatico del Re, non a caso al centro degli affreschi egli è raffigurato da adolescente.
Il messaggio è chiaramente espresso: ‘Il destino dei 7 Pianeti aveva deciso che questo possente sovrano, quando si sarebbe manifestato, avrebbe preso nel suo abbraccio, come perle uniche, le sette principesse dei sette continenti. Giunto al primo giro del Cielo, cioè al ritorno di Saturno sulla posizione natale, che avviene a circa 30 anni di età, il giovane perde il padre e ascende al trono. Saturno reca, nella sua iconografia tradizionale, la falce, e taglia i rami inutili. Bahram diviene dolorosamente Re.
Il momento dell’incoronazione non è scelto a caso: ‘Era un Leone che aveva creato un Ascendente fortunato e solidissimo, un Sole alto nel suo culmine, in Congiunzione con Mercurio, e Venere era nel Toro, e Giove era nel Sagittario, e quelle costellazioni s’erano fatte, per quei due abitatori, giardini di paradiso. Nel decimo Segno la Luna e nel sesto Marte avevano convocato l’assemblea, con la spada e il calice; Saturno aveva messo mano alla Bilancia e pesava tesori. Quando con questo Oroscopo benedetto ascese sul trono, il Re dalle belle virtù la barca della sua fortuna divenne piena come oceano. ’
Nuovamente si riscontra un piccolo lapsus astronomico, non essendo possibile un Sole leonino con una Venere taurina. Si avverte pienamente il valore della ‘sequenza delle stagioni’, la nascita all’Equinozio di Primavera e l’ascesa al Trono al Solstizio d’Estate, due punti-chiave della ripartizione stagionale.
Bellissima l’immagine di Saturno che si esalta in Bilancia, mentre l’Ascendente scorpionico ribadisce l’estrazione marziana del Re, trattandosi del Segno che è governato, come l’Ariete, da Marte, dio celeste archetipo di Bahram.
La Luna in Capricorno è trigona a quella natale, ed indizio di riflessione, saggezza, maturità. Non è più la Luna artistica e creativa, simbolo della madre, della nascita, ma è Luna filosofica, ambiziosa, realista. ‘Un giorno della settimana egli dedicò agli affari di governo, e gli altri giorni si dedicò all’amore. ’
La prima parte del regno trascorre nell’abbondanza: ‘La grazia di Dio era abbondantissima: ognuno comprava vino e vendeva spade, strappava le corazze di ferro e cuciva broccati d’oro. Il Re ordinò che il giorno fosse diviso in due parti, una per lavorare, l’altra per bere vino, esonerò per sette anni tutti dalle tasse. Fu un’era quella che aveva per Ascendente la costellazione del Toro e vi governava Venere, come può essere triste un’epoca retta da Venere? ’
Probabile omaggio a Venere è l’avventura del Re Bahràm con la sua ancella ‘bella come la Luna’, abile cantante, suonatrice e danzatrice, che cade in disgrazia e lo riconquista con una strana serie di malie. Ella trasporta ad un certo punto un vitello: ‘Il Sole – commenta il poeta – trasporta l’Ariete in Primavera, ma chi vide mai una Luna trasportare un vitello? ‘ Le magie della bella sono specialissime e molto astrali davvero: ‘Aveva legato la Luna alla costellazione delle Pleiadi, aveva steso un velo di stelle sopra la Luna, aveva avvolto la Luna in un velo di canfora come una rosa rossa. Si recò dunque come il disco pieno della Luna, verso il Toro. ’ Il Re si batte successivamente con valore in guerre nelle quali il suo coraggio è giustamente ammirato. Ben presto ha ragione sui nemici e riprende ad occuparsi di piaceri e giochi. Si noti qui l’ambivalenza di Marte, Pianeta della guerra, e Marte archetipo dell’organo sessuale maschile.

Il Re Bahram ripensa alle sette effigi raffigurate nel padiglione e individua sette bellissime fanciulle, altrettante candidate alla sua mano, una per continente, realizzando cosi l’ideale alchemico delle ‘sette distillazioni’, Si fa avanti un abile architetto, che così esprime il suo progetto’: ‘Costruirò sette cupole su sette padiglioni, ciascuna di un colore diverso, più belle del colore di cento templi d’idoli. Il Re possiede sette dolci idoli, designato ognuno da un continente, orbene, ogni continente è assimilabile fondamentalmente ad un determinato Pianeta e nelle settimane, senza discussione, ogni giorno è sotto l’influsso di un Pianeta. Così il re in questi giorni di luminoso banchetto, ogni giorno prenderà il suo piacere in un padiglione, vestendosi ogni giorno di una veste con il colore della cupola, bevendo vino in letizia con la bella di ogni padiglione. ’ L’inizio della costruzione avviene su precise basi Astrologiche, calcolate dal Re stesso.

Il tutto si completa in due anni. Eccone la descrizione: ‘Recatosi nel palazzo che toccava il cielo, vide un edificio alto fino alla volta stellata e in quello sette cupole costruite secondo l’indole dei sette Pianeti. La cupola relativa a Saturno scompariva nel nero come muschio, quella della sostanza di Giove era adorna di colore di sandalo, e quella disegnata secondo Marte abbracciava sostanza rossa, e quella che sapeva di Sole era gialla di collana d’oro, e quella speranzosa di ornamenti di Venere aveva il volto bianco come Venere, e quella nutrita da Mercurio era vittoriosamente color turchese, e quella alla cui vetta correva la Luna era verdeggiante di letizia per l’apparizione del Re!
La tradizione occidentale non riconosce le medesime analogie cromatiche, essendo il verde colore venusiano e il bianco latteo ed argenteo tipicamente lunare. Ma l’interscambiabilità dei due Pianeti ‘femminili’ per eccellenza favorisce e per certi casi incoraggia questo arbitrio.

Ogni giorno – narra il poeta – il Re mutava la sua meta, scegliendo il padiglione in base al Pianeta signore del singolo giorno della settimana. Tutto splendido egli soggiunge – e tuttavia senza la possibilità di poterlo strappare al suo destino mortale. Non bastano oroscopi splendidi per donare l’eternità, essa è divina…
Ciascun giorno è un simbolo di un periodo della vita, naturalmente. I significati alchemici sono ribaditi attraverso la scelta del sabato, come primo giorno della settimana.

Come nelle ‘Mille e una notte’, e secondo la consuetudine islamica, è una fanciulla a narrare una ‘storia’ in questo caso in prima persona, in quanto deve giustificare il colore nero che caratterizza ogni cosa, a principiare dalla cupola del padiglione in cui ella si trova, e che il Re onora per una sera, della sua presenza. Ella narra di un Re che, per protesta contro l’ingiustizia e il Cielo per il suo spiacevole Oroscopo, l’aveva chiamato il Re dei ‘nerovestiti’.

Saturno, Pianeta della vecchiaia, della saggezza, della maturità, delle prove, appare un tantino discosto rispetto al concetto di vita media, breve e valorosa tipica dei tempi di Nezàmi. Il Re saturnino non nasce come tale, ma si presenta sul trono così abbigliato dopo un periodo di assenza, mentre nessuno dei sudditi osa chiedergliene ragione, nel vederlo così desolato, triste, infelice, ‘nero’.

Egli si confida, nell’intimità, con la sua ancella, probabilmente ancora incredulo dell’avventura vissuta, così come qualunque mortale soffre del transito saturnino, e non sa darsene una ragione logica.

Egli racconta di avere un giorno ricevuto uno straniero tutto vestito di nero. Gli chiede ragione di tale scelta, e gli viene risposto che di tale nero ha consapevolezza solo chi lo possiede e nessun altro. Così come può rispondere chi ha superato un ciclo saturnino di trent’anni al giovane inesperto che gli chiede della vita…

Tanto insiste il Re che alla fine lo straniero parla (pazienza e tenacia saturnine) e narra di una lontana città cinese, casa di lutto per I nerovestiti. Chi per avventura vi soggiorna o beve il vino segue il destino degli altri, subisce una metamorfosi saturnina da contagio.

Il Re è affascinato dai misteri che avvolgono questa avventura in nero, e decide quindi di partire (o, se preferite, di affrontare il Fato, il suo Destino). Trova la mitica città, i cui abitanti, tutti vestiti di nero, sono di carnagione pallidissima. Nessuno parla di sè (riservatezza saturnina), finché un giovane macellaio gli si fa amico, e lo invita nella sua casa.
Tutto c’era sulla tavola, meno quello che più l’ospite avrebbe desiderato. Così come in chi è governato da Saturno il tarlo interiore è sempre prevalente rispetto alle gratificazioni della forma. Alla fine del banchetto il Re si fa coraggio e chiede regione della malinconia dominante e del perché tutti sono in nero. Il giovane nicchia, ma alla fine consente a chiarirgli il mistero.

Insieme prendono la via del deserto (la pietra è il simbolo di Saturno, così come la solitudine la sua dimensione reale).
In una casa desolata penzola un paniere legato ad una corda (la corda dell’impiccato come archetipo saturnine della tradizione cristiana, basti ricordare le incisioni medioevali contemporanee di Nezàmi o di poco posteriori). Invitato a sedersi nel cesto, il Re accetta e subito magicamente un uccello lo trasporta verso il Cielo. ‘Quello, il cesto, tirato da corte per forza alchemica, io, misero, ridotto a fare da saltimbanco sulle corde. E la corda si avvinghiò come cera al collo… dura era la corda, e debole il collo, io rotolavo strangolato e la mia vita era appesa ad un filo. ’

Il simbolo dell’uccello è comunissimo nei miti ricercati e chiariti da Eliade, e così l’impressione alchemica della salita al Cielo come rinnovamento interiore doloroso, pericoloso, ma fondamentale.

Si ha qui l’immagine di Saturno che quasi si strozza per ingoiare uno alla volta i suoi figli, e averla vinta sulla sinistra profezia che lo vuole detronizzato da Giove.

Appare un palo altissimo, che giunge fino alla luna (la salvezza del femminile, la luce nelle tenebre dell’inferno pagano e Cristiano), la cesta vi si impiglia per la corda, e il Re resta sospeso a mezz’aria, terrorizzato. Angosce saturnine, nostalgia del passato, rimpianti per la casa e le persone amate, lontane.

Si posa allora un pelo di uccello grandissimo, ‘come una montagna’ (altro simbolo saturnine, anche come scalata della vita), e il Re riflette, con razionalismo saturnino, e il coraggio della disperazione, pensando di avere il disastro sotto di sè e la morte sopra. Decide di afferrarsi a quello che portò il fuggitivo Saturno greco verso i lidi ospitali dell’Italia e di Roma, verso la saggezza: la creatività e la fantasia come rincorsa poco conosciuta del Pianeta, che se ne nutre nel sociale, come in molti celebri scrittori saturnini.

Egli giunge in una sorta di Paradiso Terrestre, fiorito ed ospitale, nel quale regna una stupenda creatura di sesso femminile, che subito dopo lo circuisce: ‘Vieni qui sul trono e siedi accanto a me, stanno bene insieme la Luna e le Pleiadi’. Egli non tarda ad innamorarsene.

Si può pensare alla forza dell’eroe saturnino ben nota, attraverso l’amplesso di ogni notte, fecondatore della moglie-sorella-amante Rea.

Ella tende a sedurlo, e la dolcezza saturnine apparentemente antica e sostanzialmente libidinosa, che ricerca il piacere più profondo per esserne eccitato, appare molto presa. E’ il vecchio avaro dell’Occidente che, ricco, può pagarsi mollezze e insospettabili godimenti, perdurando una virilità esigente, legata al risvolto ‘panico’ del Pianeta, spesso rappresentato come diabolicamente zoppo e caprino.

Al colmo dell’eccitazione ella gli propone la più bella ancella, ed egli si appaga, dormendo stanco per l’intera giornata successiva. Stessa scena la sera seguente: ‘Ero nel paese della letizia, il giorno col Sole, la notte con la Luna…’
L’incantesimo si protrae per trenta notti. Un mese lunare e, se si preferisce, l’intero ciclo saturnino di infanzia e gioventù, fino alla soglia della maturità.

La bella propone di sera in sera l’amplesso, e alla trentesima notte l’insistenza del Re diviene irresistibile, al punto che ella lo prega di chiudere gli occhi per un solo istante, prima di amarla, infine.

In quel momento l’incantesimo è rotto. Il Saturno greco è spodestato dai trucchi di Giove, pur ispirati, come nell’opera di Nezàmi, da Rea, in questo caso nuovamente sovrana del Paradiso Celeste di cui il Re è ospite. Egli si ritrova solo, desolato, nel suo cesto, in totale solitudine saturnina. Così come dopo tanti rovelli crediamo di aver raggiunto la meta e un colpo maestro del destino ci ricaccia giù, senza pietà. Al ritorno a terra ritrova l’amico, che gli spiega di avere vissuto una analoga avventura, e di essersi vestito di nero per ricordarla. Così come chi ha vissuto ammonisce i giovani, ed essi non credono fino a quando non hanno, consapevolmente, vissuto l’esperienza della vita.

Il Re a sua volta chiede seta nera per esprimere tristezza e rimpianto, consapevole di avere perduto la felicità per eccessiva impazienza. Il Re non ha rispettato il senso della misura tipico di Saturno, il ritmo che il Pianeta aveva insegnato a comprendere. Il racconto si conclude con un panegirico del Nero, colore di gioventù, e quindi di inesperienza, per i capelli, dalla pupilla, della gloria della Luna, nella fase eccezionale della Luna Nuova o nella sua collocazione saturnina nel Segno del Capricorno.

L’Olimpo greco può corrispondere facilmente al Paradiso che il Re trova alla cima del palo della sua evoluzione. Proprio come nel Paradiso greco, nemmeno in quello dell’Islam Saturno non può trovare posto, tra banchetti, ancelle, gioia e serenità, se non per un breve periodo, un Cielo di trenta giorni o di trent’anni.

Si tratta pur sempre di Kronos abile nella misura delle umane vicende. Così come l’asceta dominato da Saturno cerca la solitudine e illustra la bellezza e il suo stato, ne Re nerovestito è parafrasato il destino umano, di cercare la felicità, e molto spesso di dovervi rinunciare quanto più pare all’uomo di esserle giunto vicino.

Il cesto ha corde alchemiche che lo sollevano, mentre Aigokéros, la capra saturnina che è protagonista del regno di Kronos, sale a fatica le montagne, accontentandosi della manciata di sale e finendo per gettarsi in mare al tramonto, per iniziare la mattina dopo una nuova scalata. Una serie di tentativi che creano la resistenza, l’esperienza, ma anche la consapevolezza, come per il Re nerovestito.
Il valore universale del Nero come sacrificio, mortificazione, sfortuna, autocastrazione, vuole ammonire il marziano Bahram o renderlo saggio nei confronti della vita.

La domenica inizia con Re Bahram che si veste di giallo, con una splendida corona d’oro sul capo, con ambra incastonata, e spargendo polvere d’oro si reca al padiglione giallo. E così fa per tutti i giorni successivi.
La limitatezza del tempo concessomi non mi permette di trattare tutte le ‘storie’, ho pertanto scelto, accanto a Saturno, Venere, ovvero il Pianeta signore del padiglione visitato dal Re il venerdì. IL colore è il bianco.

Leggiamo il testo originale: “Il giorno di venerdì, quando la volta celeste imbiancò la casa di sole, il Re con bianchi ornamenti maestosamente si recò al padiglione bianco… quando la notte illuminò col nero collirio nato nel cielo gli occhi della luna e delle stelle, il re chiese a quella vegliatrice notturna nata dall’aurora che facesse risuonare d’organo gli echi della sua cupola…”.
La bella inizia il suo racconto. Il protagonista è uno splendido giovane, dotto nella scienza e competente nell’arte, che praticava la virtù della castità. Possedeva un giardino straordinario, dalla terra profumata, capace di produrre frutti da paradiso.
Cipressi, uccellini, canti melodiosi, nulla mancava per la perfetta letizia. Sui quattro lati del giardino stavano quattro padiglioni a cupola, posti a difesa del malocchio, invidia di tutti. Ogni settimana il giovane trascorreva tempo nel suo giardino, occupandosene in prima persona.

Un giorno arrivò e trovò la porta chiusa. Il giardiniere si era addormentato e tutti erano in agitazione per una voce dolcissima che si sentiva cantare. Egli stesso ne fu affascinato e, non trovando il modo di entrare ed essendo privo di chiavi, finì per aprire un varco nel muro medesimo. Le due fanciulle poste a guardia del portone non lo riconoscono, lo scambiano per un ladro, e lo aggrediscono

Finiscono per riconoscerlo, e gli chiedono scusa. Guidato da loro egli si avvicina a una stanza protetta da mattoni, all’interno della quale in una piccola fontana si bagnano, in una sorta di piscina di marmo, due bellissime fanciulle nude, tra i pesciolini e, ai bordi, fiori, gigli, narcisi, gelsomini. “Il mondo intero era sconvolto dalla Luna al Pesce”, osserva il poeta, forse per indicare l’emozione anche sensuale del giovane. Egli resta incantato, affascinato, rapito. Esce, e racconta la sua emozione alle ancelle, che, dopo avergli chiesto chi fosse nel gruppo la sua fanciulla preferita, gliela conducono, disponibile e dolcissima ai suoi voleri. I due si appartano, ma sul più bello la stanza trema e i mattoni crollano, permettendo loro a stento si salvarsi. Lui è triste e deluso, mentre lei esprime all’arpa il suono della sua tristezza, egli si affida nuovamente alle ambasciatrici, che combinano un incontro notturno.

Ma proprio nel momento culminante un gatto selvatico vede, da un ramo, un uccello presso un buco, salta sull’uccello e cade a terra andando a colpire proprio i due amanti abbracciati. Altra fuga, altra delusione. Ancora una volta i due tentano l’amplesso, sotto un pergolato tentatore. Ma un topo di campagna che ha visto pendere certe zucche vola sui rami e le fa cadere fragorosamente provocando un forte rumore. Il giovane pensa sia accaduto qualcosa di grave, e fugge precipitosamente, credendo si tratti d’un tamburo. Ancora una volta le sue consigliere lo incoraggiano, e gli raccomandano di scegliere un “nido” adatto. Esse stesse veglieranno sulla tranquillità dell’incontro.

Egli costruisce un giaciglio di fiori, profumati e inebrianti. La fanciulla si sdraia, protetti i due da una tenda. Ma, nella grotta in cui si trovano, avviene una rissa tra lupi e volpi, e gli animali transitano, altercando, proprio sul giaciglio, facendo rovinare la tenda sugli amanti. A questo punto le due consigliere accusano la fanciulla di portare male, di avere in sé la sfortuna designata… ella si giustifica a fatica. Ma è il giovane che chiarisce il significato degli intoppi: “A una fanciulla con volto di fata nessun uomo dovrebbe unirsi con illeciti amori… se avrò vita, e questa predatrice accetterà di essere predata, giuro che la farò mia sposa legittima”. Tutti furono stupefatti dell’opera del burattinaio celeste, conclude il poeta, dopo una grande festa di nozze la perla fu finalmente traforata dal corallo… a tutti è comune questo desiderio d’amore, da trasformare in fortuna.
Se confrontiamo i contenuti della tradizione, greca, occidentale, cristiana, con la storia di Nezàmi non possiamo non cogliere molti elementi comuni. Prima di tutto la bellezza, la forma, la voce, lo splendore, l’armonia, che spira dalle caratteristiche del giardino, che può essere associato molto bene a Venere in Toro o Bilancia, e alla loro aspirazione al bello.
Venere come amore, senza dubbio. Anche il giovane casto per antonomasia non può sentirsi affrancato dalle lusinghe di Venere.

Il pudore è una caratteristica che non si addice all’innocenza di Venere, le fanciulle si bagnano in un Paradiso senza troppe difficoltà, ma anche senza rendersi conto di suscitare passione in chi le osserva. Il parallelo con il Paradiso Terrestre non è azzardato. Tutto è perfetto, ed armonico, prima del Peccato, nel momento in cui il protagonista vuole realizzare il suo desiderio, l’armonia ha fine. Tutto funziona male, e l’incontro fortuito a scopo di sesso lascia l’amaro, e non può essere realizzato. Venere come gentilezza, come rispetto ed esaltazione della femminilità, che proprio in questo modo si scopre a non dovere, per la sua innocenza, subire oltraggio. Il burattinaio celeste non gradisce che sia scomposta la sua armonia. Vuole mettere alla prova, come nel caso di Eros e Psiche, alla rovescia, l’attrazione, la profondità del sentimento e del desiderio, provati da lui. Se l’innamoramento è profondo e reale, allora godrà del premio finale, del favore di Venere attraverso un felice matrimonio con una saggia ma anche arrendevole fanciulla. Venere in questo caso è espressa nella versione tipica del periodo in cui visse Nezàmi, corrispondente alla Vergine Maria cristiana, all’esaltazione della purezza di lei.


L’acqua è rigeneratrice, la Luna sposa Venere, nel Cancro e nei Pesci, differentemente, entrambi segni nei quali Venere è significata, come ospite di Giove (in questo caso del re) o della Luna. Fiori, arte, giardini, animaletti, tutto concorre a un’atmosfera perfetta, fino al momento in cui essa è turbata dal pensiero sconcio, e cade quindi nella possibilità di risentire del malocchio che le quattro cupole dovevano evitare, come si dice all’inizio del racconto. Il giaciglio di fiori vuole creare, attraverso il loro profumo, la dimenticanza di ciò che accade, intorpidire la volontà.

La bianchezza del padiglione di Venere indica probabilmente un’ambivalenza nei riguardi della Luna, gli stessi colori, il bianco lunare dell’Occidente, e il verde tipicamente venusiano risultano qui scambiati. Resta invece confermata la stagione primaverile, il bel tempo, la notte è ancora lunare. Come se i valori di femminilità, vissuti a qualsiasi età, fossero sempre pregevoli. Le due fanciulle guida sono immagini lunari, le donne che nell’adolescenza e nella maturità danno buoni consigli (madre, sorella, compagne). Si nota anche il valore orientale dell’uomo contrapposto a molte donne.

Nulla gli vieta, secondo la religione, di avere più mogli, ma non deve abusare della sua sessualità per approfittare di una fanciulla bellissima ma sprovveduta, folgorata dall’amore, e quindi pronta a cadere ai piedi e nel letto dell’amato.

Dopo le sette simboliche serate presso i sette padiglioni, la storia di Re Bahram riprende. Racconta il poeta: ‘Quando, con il potente Trigono tra Giove e Saturno il Re degli Astri (il Sole) dai Pesci passò in Ariete. ’
Il Re riprende le sue avventure terrene, guerre con il Gran Khan della Cina, soluzione di problemi di Governo, licenziamento di ministri infedeli. Il tempo passa, il grande Oroscopo di gloria e potenza ha fatto il suo tempo. ‘Quando giunse il Cipresso a sessanta anni, e sbocciarono i gelsomini sopra le viole (cioè iniziò ad avere i capelli bianchi), egli si diede con sincero animo all’adorazione di Dio e cessò dal culto di sé medesimo. ’

La storia termina con la nuova consapevolezza raggiunta dal Re. L’effetto sommato dei sette Pianeti, e della loro evoluzione, è che egli si rende conto della caducità della vita, del suo essere breve come un soffio. Il Re parte per la caccia, ma, dice il poeta, si tratta di una caccia speciale, verso se stesso. Seguendo una preda egli precipita consapevolmente in una caverna, la morte, dalla quale non potrà più uscire. Tale è il destino umano, che non deve e non può, sebbene guidato dalle stelle, misurarsi con il divino, sarebbe inutile follia. Gli arcani astrologici che colorano l’intera opera sono legati, nell’epilogo, al poeta medesimo, a Nezàmi. Il quale dice che la ‘canna della mia penna dal prato seminato dell’arte ha fatto pervenire l’umido giacinto fino a Mercurio, e la Vergine Spica se ne è appropriata, ricordando la protezione dell’antico dio greco nei confronti di poeti e scrittori.

Ho provato una piccola emozione, nel sentire Nezàmi paragonare gli astrologi ad alchimisti del Cielo, dotti di Sole e di Luna. Ma credo che nel messaggio profondo, ostile al determinismo gratuito, e all’uso sciocco e monocorde dei simboli planetari. Antico e al tempo stesso modernissimo, Nizami ci fa comprendere come in ogni tempo ci siano i buoni e i cattivi servitori dell’Astrologia, della Filosofia, della Religione.