La Luna in Toro di Anna Magnani!

‘Quasi emblema, ormai, l’urlo della Magnani,
sotto le ciocche disordinatamente assolute,
risuona nelle disperate panoramiche,
e nelle occhiate vive e mute
si addensa il senso della tragedia.
E’ lì che si dissolve e si mutila
Il presente, e assorda il canto degli aedi.’

Con questa sua poesia, Pier Paolo Pasolini ha sintetizzato le caratteristiche dell’attrice Anna Magnani e il riferimento all’’urlo emblematico’ è chiaro: si tratta di una delle più famose sequenze del neorealismo italiano, quella in cui la popolana Pina di ‘Roma città aperta’ insegue il camion dei tedeschi che le stanno portando via il compagno. Quel film, girato da Roberto Rossellini nel 1945, segnò per la Magnani un punto di arrivo e di trapasso nella sua carriera di attrice.

Ma, per una non casuale coincidenza, fu anche altrettanto significativo nella sua storia privata di donna. In realtà, la donna e l’attrice non furono mai due entità separate e la carica viscerale della sua recitazione fu sempre la naturale espressione di una diretta esperienza di vita.

Carta del Cielo di Anna Magnani, nata a Roma il 7 Marzo 1908 alle ore 13 e 30

Per capire dunque l’attrice, esploriamo la donna e cominciamo dalla sua nascita già fortemente segnata e significativa. Anna Magnani nasce il 7 marzo 1908: su questo dato concordano tutti i biografi. Ma da questa unica notizia certa iniziano gli equivoci: nata ad Alessandria d’Egitto, nata a Roma, figlia di padre egiziano, di padre italiano, di padre… E’ la stessa Magnani ad affermare perentoriamente di essere figlia di padre ignoto e, altrettanto perentoriamente, di essere nata a Roma, figlia di una giovane donna che, per evitare lo scandalo, si trasferì poi in Egitto. La piccola Anna restò a Roma, affidata alla nonna materna.
La Magnani ha sempre descritto con vera idolatria questa donna che la colmò di cure e di tenerezza, ma la carenza di un rapporto affettivo con la madre emerge dai suoi racconti con altrettanta evidenza. Una bambina introversa, dunque, amante della solitudine e delle fantasticherie, che solo da adolescente conobbe appena la propria madre e che del padre sa solo ‘che è calabrese’, nient’altro. Sono origini, queste, che lasciano il segno – e vedremo più avanti quanto analogico – nella storia privata di una donna. ‘Ho scelto questo mestiere perché non ho mai voluto dipendere da nessuno… Ma no, cosa dico? Ho scelto questo mestiere perché avevo voglia di essere amata, di ricevere tutto l’amore che avevo sempre mendicato. Ecco, ci risiamo, è il solito dannato complesso materno. Riuscirò mai a liberarmene? ’
Compensazione affettiva, dunque, narcisismo? Comunque sia, Anna manifesta una vocazione abbastanza precoce: a quindici anni si iscrive alla scuola di recitazione ‘Eleonora Duse’ presso l’Accademia di S. Cecilia. E’ importante scoprire che questa attrice, la cui recitazione sarà sinonimo di spontaneità, di irruenza popolare, di aggressività, istintività, ha studiato sotto la guida di maestri come Silvio D’Amico e Ida Carloni Talli. Ma anche questo fa parte del suo personaggio, contraddittorio e complesso, sotto l’apparente semplicità. Ben presto, però, abbandonerà gli studi per entrare, giovanissima, nella compagnia di Vera Vergani e Dario Niccodemi. Gli inizi della sua lunga carriera, per quanto precoci, non furono altrettanto sfolgoranti. E’ la storia di sempre: delle particine generiche del tipo ‘il signore è servito’, delle faticose tournée nei teatri di provincia, insomma della gavetta teatrale con il classico contorno di camerini gelidi, di squallide stanze d’albergo e di pochi, pochissimi soldi in tasca. Ma non le mancavano certo né la grinta né il carattere necessari per superare queste difficoltà.
Alterna in questo periodo il teatro di prosa (compagnia Arcimboldi a Milano; compagnia Gandusio) alle prime esperienze nel teatro più popolare della rivista, con la compagnia dei fratelli De Rege, una coppia di comici che ebbe notevole fortuna negli anni trenta.
Le tavole alquanto sgangherate dell’avanspettacolo le furono subito congeniali: qui verificò e affinò quella carica di istintiva comunicazione col pubblico, quel magnetismo che seppe sfruttare in seguito ad altri livelli. D’altronde il mondo della rivista e della farsa hanno una loro tradizione nella storia del teatro italiano: da lì vengono personaggi come Ettore Petrolini, (che appoggiò gli esordi della Magnani) o come Alberto Sordi o come quell’eccezionale fenomeno interpretativo che fu Totò. Appunto con Totò la Magnani fonderà una propria compagnia di rivista negli anni che vanno dal 1941 al 1944, e chi ha visto i due attori insieme sulla scena li giudica alla pari per bravura e presa sul pubblico.
Ma non anticipiamo i tempi: nel 1934, giovando tutti i tavoli del mondo dello spettacolo, la Magnani debutta davanti alla cinepresa ne ‘La cieca di Sorrento’. Se le sue doti come attrice di teatro furono istintivamente chiare fin dagli esordi, non altrettanto si può dire di quelle cinematografiche. Anzi, sinceramente, i suoi primi film erano orribili! Ma basta pensare a quelli erano i livelli del cinema italiano negli anni Trenta per assolverla almeno da una parte di colpa. Salvo alcune, parziali, eccezioni, il cinema voluto dal fascismo si concentrava allora su due filoni fondamentali: la Famiglia e l’Impero. Ai temi del melenso intimismo piccolo borghese si alternavano quelli della megalomania storico-eroico-patriottica. Su entrambi si stendeva il soffocante manto del conformismo e della retorica di regime.
Nel 1935, Anna conobbe il registra Goffredo Alessandrini, un fortunato esponente della cinematografia allora in auge (basta citare alcuni suoi film per intenderci: ‘Cavalleria’, Luciano Serra pilota’, con la supervisione di Vittorio Mussolini; ‘Giarabub’).
Per lei, Alessandrini, fu il grande amore, regolarmente sancito, il 3 ottobre 1935, dal matrimonio.
E qui si apre un capitolo che sarà ricorrente nella vita della donna Anna Magnani: quello dell’antagonismo tra bisogno di subordinazione, secondo lo schema più prettamente ‘femminile’ e rivendicazione di autonomia. E’ una contraddizione tipica che, posta in quei termini, non trova soluzione. Infatti, molti anni dopo, quando ormai la scelta della solitudine e dell’autonomia erano diventate irreversibili, la Magnani stessa dichiarerà: ‘Il fatto è che le donne come me si attaccano solo agli uomini con una personalità superiore alla loro ed io non ho mai trovato un uomo con una personalità capace di minimizzare la mia. Le donne come me subiscono solo gli uomini capaci di dominarle ed io non ho mai trovato nessuno che fosse capace di dominarmi. ’
Amare, essere soggiogate, ribellarsi… termini di una dialettica mai fondata che segneranno per sempre gli infelici rapporti sentimentali della Magnani.
Il marito stesso – d’altronde – la preferiva nel ruolo tradizionale di moglie casalinga piuttosto che in quello più impegnativo di compagna di lavoro. Per alcuni anni Anna accettò questa emarginazione, riversando le frustrazioni del suo carattere impetuoso nelle violente scenate di gelosia. Ma dopo sette anni di rapporti burrascosi, il matrimonio si scioglie. Alessandrini restò comunque per lei l’uomo del rispetto e della tenerezza. Forse, per il lato conformista e possessivo della sua natura, contò il fatto di essergli stata legalmente unita. Molti anni dopo, quando lei era ormai l’attrice celebre e lui un regista misconosciuto, Anna cercò sempre di aiutarlo, offrendosi anche in particine di film che avrebbero dovuto riportarlo a galla.
Ma ritorniamo, per rispettare la sequenza cronologica, al 1939. Quando il matrimonio con Alessandrini era ormai irrimediabilmente compromesso, Anna riprende con foga la carriera di attrice, l’unico punto di riferimento cui resterà fedele per tutta la vita. Recita in ‘Anna Christie’ di Eugene O ‘Neil: una parte che era già stata di Lidia Borelli e di Greta Garbo. Nonostante gli innumerevoli scontri tra l’attrice e il regista, il geniale sperimentatore futurista Anton Giulio Bragaglia, Anna definisce il proprio personaggio in modo perfetto. E’ il primo indiscutibile successo ed anche l’occasione di un incontro che dovrà rivelarsi importante. Vittorio De Sica entusiasta le propone la parte di protagonista in ‘Teresa Venerdì’, un film non eccelso ma in cui la Magnani seppe uscire dal cliché previsto (interpretava un’attricetta di varietà) per definire un personaggio ricco di sfumature. Un successo personale per Anna che infatti, l’anno successivo, 1942, si vede offrire da Luchino Visconti la parte di protagonista in ‘Ossessione’, accanto a Massimo Girotti. Era un’occasione che, col senno di poi, potremmo definire ‘storica’ per le ambizioni di un’attrice. Anna cominciò a girare ma quasi immediatamente dovette confessare, in lacrime, di essere costretta a ritirarsi: era incinta già di cinque mesi.
Qui si apre un’altra parentesi sulla donna Anna Magnani che, anche nel ruolo di madre, si dovrà realizzare drammaticamente. Anzitutto, il padre del bambino non era il marito, ma l’attore Massimo Serato. Una maternità fuori dal matrimonio che – nell’Italia grettamente bigotta di allora – suscitò non poco scandalo! (Ancora oggi, d’altronde, molte biografie dell’attrice scivolano sul particolare). Ma se l’unione tra i due fosse stata solida, il robusto carattere dell’attrice non ne avrebbe, supponiamo, tremato. Invece, quasi a ripetere ossessivamente l’esperienza già vissuta dalla madre, Anna si separerà bruscamente e definitivamente da Serato e il figlio che nascerà non conoscerà mai il proprio padre. Una nuova delusione amorosa dunque, aggravata dal ruolo difficile di ragazza-madre, e in tempo di guerra per giunta. Pure, per tre anni, Anna farà fronte con una gioia senza riserve alla nascita di Luca, che chiamerà col diminutivo di Cellino. Poi, il dramma, il bambino è colpito da una gravissima forma di poliomielite che lo immobilizzerà su una sedia a rotelle. Anna vive la tragedia come un’ingiustizia, una vendetta della vita. ‘Di fronte alla malattia – dovrà dire anni dopo – si grida, ci si arrabbia, si ha voglia di soffrire, di morire. Si cerca di illudersi, di dirsi che tutto passerà. Non c’è proporzione tra la dolcezza di un attimo di tranquillità e l’eternità di un attimo di infelicità. Oggi Luca è un uomo. Forse ha nei miei confronti gli stessi sentimenti che io provavo per mia madre…’
Luca infatti passerà una infanzia solitaria in Svizzera, tra cliniche e case di cura, sopposto ad innumerevoli operazioni nel tentativo di recuperare almeno parzialmente l’uso delle gambe. In tutti quegli anni la Magnani non risparmierà gli sforzi e le cure e cercherà di stargli vicina il più possibile. Ma il suo amore viscerale e possessivo per il figlio si svilupperà col tempo in un rapporto non sempre felice. Cellino, adolescente, spesso rifiuterà quell’invadenza materna venata di ansia e di pietà. Anna, dal canto suo, cercherà sempre di liberarsi dal senso di colpa per quell’iniziale abbandono che le era stato dettato, evidentemente, non solo dalle necessità mediche ma anche dalle sue personali necessità di affermazione.
Anna Magnani 431.jpgEra, infatti, il 1945, Roma era stata liberata da pochi mesi quando Rossellini, in un clima di entusiasmo e di improvvisazione, racimolando debiti e pezzi di pellicola, decise di girare a caldo ‘Roma città aperta’. L’attrice cui si rivolse era quella Clara Calami che aveva già dato ottime prove in Ossessione. Ma questa volta fu Anna Magnani a sostituirla nella parte di Pina. E fu il successo pieno, senza riserve: Anna Magnani era diventata una diva, una attrice celebre sul piano internazionale. Aveva lavorato duramente, immedesimandosi nella parte in maniera totale (per ore aveva ripetuto la famosa sequenza della corsa dietro al camion, cadendo a terra, sbucciandosi le ginocchia, gridando fino a restare senza voce). La carica viscerale della sua recitazione, la sua capacità di rendere una donna del popolo in tutte le sue sfumature più realistiche, dalla veemenza all’accorata dolcezza, fecero del suo volto il simbolo di un’Italia vera e genuina che risorgeva dopo il lungo sonno del fascismo. Va anche sottolineata la felice coincidenza tra le sue doti naturali fino allora represse e le intuizioni figurative di Rossellini, il regista giusto aveva incontrato la sua attrice giusta e viceversa. Ma la felicità dell’incontro sembrò non dovesse limitarsi alla teoria del nascente neorealismo: all’interesse professionale ben presto si aggiunse quello personale. Anna era di nuovo innamorata e questa volta almeno, non sembrava dovesse esserci contraddizione tra la donna e l’attrice.
Nell’immediato dopoguerra, il cinema italiano sembrava aver trovato rigidi e artefatti, quasi a far piazza pulita del passato, si impone lo stile neorealistico. Il documento di vita, l’impegno sociale, la registrazione della realtà in presa diretta, gli attori presi dalla strada, tutto contribuisce ad alimentare una nuova presa di coscienza e un nuovo rapporto tra cinema e pubblico. In questo clima, il personaggio della Magnani si realizzò pienamente e la sua risata calda e rauca, la sua chioma spettinata, l’anticonformismo degli atteggiamenti e del linguaggio divennero emblematici. ‘Abbasso la miseria’, ‘Abbasso la ricchezza’, ‘L’onorevole Angelina’, questi i titoli di alcuni film in cui Anna tratteggia quella figura di donna del popolo, generosa e umana, che amava interpretare.
Rossellini, nel 1948, le dedica il film ‘Amore’: due episodi interamente centrati su di lei. Ma, nel frattempo, la relazione sentimentale col regista segue inesorabilmente un copione già altre volte sperimentato. Tra litigi e furibonde scenate, Anna porta avanti la sua mai appagata esigenza di affetto totale: una dimensione e un rapporto troppo impegnativo per l’egoismo dell’uomo Rossellini, che si prepara a conquistare gli Stati Uniti. Alla sua partenza, i due si saluteranno con un ‘arrivederci presto’, mentre invece era un addio definitivo. Scoppia, infatti, a Hollywood, lo ‘scandalo’ Rossellini-Bergman. Il Cliché è quello tipico del peggiore divismo anni ’50. Il regista latino, malioso e seduttore, e la bionda attrice svedese, rapita dall’idilliaco focolare familiare, che perde la testa. Fuga in Italia, quindi, sotto il caldo sole del sud, pettegolezzi, interviste, cronache lacrimose. In tutto quest’indegno tumulto, Anna avrebbe dovuto interpretare la parte dell’umiliata e offesa. La sua reazione sarà di tutt’altro genere: a chi le chiede confidenze e pareri sul caso, ricorderà di essere un’attrice e di essere responsabile solo del proprio lavoro. Ma sotto questa maschera di dignità, dev’essere stato un duro colpo per lei. Significativamente, l’unica reazione polemica che si concederà, sarà trasferita sul piano professionale: nel 1949, mentre Rossellini gira ‘Stromboli’ con Ingrid Bergman, Anna girerà ‘Vulcano’ con il regista Dieterle. Un confronto tra le due attrici su temi e in ambienti analoghi ma destinato a non fare storia, data la mediocrità dei due film nel loro complesso.
Sarà invece Visconti a dare ad Anna una grande occasione interpretativa nel 1951 con ‘Bellissima’. Sarà il suo personaggio più profondo e complesso: una madre, mortificata dagli affanni e a dalle miserie, che riversa sulla figlia bambina le proprie illusioni di risarcimento, tentando di introdurla nel mondo del cinema.
Quando si renderà conto di quali umiliazioni questa sua speranza comporta, reagirà con uno stupendo, umanissimo furore materno.
Intanto, il clima storico e sociale sta mutando. Con gli anni ’50 si afferma sempre più l’esigenza di pace e di contenimento dello scontro di classe. Anche il cinema rapidamente si adegua, passando dal crudo verismo neorealista al bozzettismo popolare, al pittoresco. I personaggi a tutto tondo non servono più, ani sono inquietanti e scomodi, mentre aumenta la richieste di ‘bersagliere’, ‘pizzaiole’ e ‘poveri ma belli’.
La maschera tragica e intensa della Magnani diventa ingombrante e le si preferiscono fanciulle dalle prorompenti qualità anatomiche, ricorda le famose maggiorate, la Loren, la Lollobrigida e i loro duelli a colpi di décolleté? Per la verità, anche ad Anna vengono proposte parti e ruoli adeguati alle nuove esigenze, ma sarà lei a rifiutarli con coerente indignazione.
Tenta all’estero: ‘La carrozza d’oro’ con la regia prestigiosa di Jean Renoir. Ma, dai tempi de ‘La grande illusione’, il regista era cambiato, spostandosi su posizioni estetizzanti che non potevano collimare con lo stile dell’attrice. Sono anni amari per una donna già provata da tante esperienze infelici. Anna si rinchiude sempre più in se stessa, sviluppando una cupa misantropia: ‘Gli uomini? Ma chi sono?! – dirà in una delle rare interviste – che cosa credono di essere? Arrivano, e ti squadrano dall’alto in basso come per dire ‘eccomi, sono qui’. La presunzione verso le donne è uno degli atteggiamenti maschili che mi irrita di più. ’
Certo non doveva essere facile il suo ruolo di donna sola e autonoma… non è mai facile, ma nell’Italia del gallismo di allora doveva essere ai limiti del sopportabile. Per difesa, per reazione, sarà lei a sviluppare un ‘carattere virile’, a essere ‘l’uomo di casa’, a fare della propria indipendenza una bandiera e un orgoglioso stile di vita. Si isola nella sua casa di Roma, frequentando pochi, vecchi amici, o nella Villa al Circeo. Unica compagnia costante, i suoi animali. Cani, gatti, tartarughe: su queste bestie riversa il suo affetto incondizionato e forse nel suo amore per gli animali c’è la certezza rassicurante di un amore senza tradimenti.
Ma se il cinema italiano l’ha messa in disparte, all’estero il nome di Anna Magnani è ancora in auge. L’incontro e la grande amicizia col commediografo Tennessee Williams la convincono al grande salto. Nel 1954 parte per Hollywood dove gira ‘Rosa Tatuata’ con Burt Lancaster, il ‘temperamento vesuviano’ (questa la definizione della stampa americana) della Magnani conquista gli States, e nel 1955, vince addirittura il Premio Oscar, Un trionfo dunque, ma ormai la sua vena si è esaurita. Resta la grande professionista, l’attrice consumata che però interpreta solo se stessa, senza aprire nuove strade. Interpreta, ancora negli Stati Uniti, ‘Selvaggio è il vento’, con Antony Quinn e ‘Pelle di serpente’, con Marlon Brando, nel 1968. Poi, con Pasolini, il non fortunato ‘Mamma Roma’, del 1962. Infine, sempre più delusa e stanca, ritroverà un nuovo momento di grazia ritornando a recitare in teatro. Con la regia di Zeffirelli, sarà ‘La lupa’ di Verga, un personaggio come lei amava, tagliato su misura per la sua personalità. Nel 1970 si lascia convincere a interpretare una serie di film televisivi su figure di donne diverse in varie epoche storiche. Davanti ai televisori, il pubblico italiano sembra colpito da una rivelazione: Anna Magnani è una grande attrice. Sarebbe forse il momento per una riscoperta e per un ultimo salto nella sua maturazione di attrice alla ricerca di nuovi ruoli. Ma proprio la sera in cui si proietta ‘1870’, l’ultimo episodio della serie, con Mastroianni, Anna Magnani, già minata dal cancro, muore. E’ il 27 settembre 1973. Ai suoi funerali, una folla strabocchevole accorre a testimoniare di non aver dimenticato quella che, per il popolo romano, resterà ‘Nannarella.’

DonnaLunaAstrologia2, Toro, Edizioni dalla parte delle bambine, 1980

 

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