Le Osservazioni del Cielo di Elèmire Zolla!

All’Astrologia da giovane non prestavo la minima attenzione. In seguito, sui trent’anni, cominciai, un giorno a Roma, ad interessarmi al dottor Bernhardt, dove si rifugiavano a farsi rimodellare personaggi che stimavo; era un discepolo di Carl Gustav Jung e provvedeva, come prima mossa nell’accostare un cliente, a cavarne un oroscopo. La cura si serviva di quello schema per orientarsi, trovare soluzioni, indirizzare. Si può dire che tutta la terapia era già implicita in quel disegno del carattere, delle capacità, del destino.
Il metodo di Bernhardt ricalcava puntualmente quello junghiano. Non serviva a stabilire dei fatti, ma ad individuare una conformazione del destino e che cosa è più consono al destino del variare di stagioni in cielo da un capo all’altro dell’anno? Se poi alle 12 costellazioni si combinano i 7 pianeti, si riesce a definire con precisione ogni sorte. Almeno, così pareva a Bernhardt e ai suoi clienti.

Destino è un’idea che sbalestra fuori delle nostre categorie ordinarie, implica una connessione fra mondo interiore e gli accadimenti esteriori, trascende la semplice morale, perché comprende anche l’inconscio, si rivela in tutta la sua sconcertante realtà quando ci accadono sincronismi. Ma anche a quelle che Yates chiamava emersioni dell’Anima Mundi sono prove del destino, coincidenze che presuppongono un fondo comune delle fantasie e fanno scaturire atti, parole inattese.
Jung intuì, e questa comprensione è fra i suoi meriti più nobili, che il gioco degli archetipi presiede sempre a queste rivelazioni della sorte; dunque essi si possono esprimere in modo adeguato mercé le combinazioni astrologiche. Ciò che mi si impose alla mente, studiando il gruppo dei clienti di Bernhardt, fu che senza un’idea di destino poco o nulla vale la vita e di essa, senza il sistema astrologico, non posso nemmeno cominciare a parlare in maniera articolata. Di poi, m’imbevvi dell’astrologia iranica e di quella indù.
Ma quanti casi potrei allineare? Almeno uno va menzionato. I coniugi Michèle e François Gauquelin si misero a raccogliere dati statistici per smentire una volta per tutte la credenza nell’Astrologia, eppure quelle caterve di numeri cominciarono a oscillare sotto i loro occhi: risultò ben probabile la presenza di Marte e Saturno nell’Ascendente o in Medio Coeli tra medici, di Giove tra gli attori e soldati, della Luna fra scrittori e politici. Ma più che mai la probabilità salì nel caso degli sportivi, eppure il loro Marte in Ascendente ha probabilità di prodursi ogni cinque milioni di casi. Una prova!
E così mi lasciai ritrasportare al mondo delle metafore che sonnecchiano nel nostro inconscio: la scintilla di Venere vespertina corrisponde al tremito amoroso, quella di Venere mattutina o Lucifero all’audacia che si paga col sacrificio e via elencando i barlumi celesti e i modelli della sorte. L’incontro più memorabile lo ebbi con i sacerdoti zoroastriani fondati sulla conoscenza astrologica. Citano Avicenna, che in un poemetto a noi pervenuto predice con nitore l’invasione mongola, il sacco di Baghdad, l’assassinio del Califfo e infine la vittoria degli Egiziani sui Mongoli nel 1260, in base alla Congiunzione di Giove e Saturno in Capricorno mentre io potrei citare il De coincidentia astronomica di Pierre d’Ailly, sorbonardo del secolo XV che dalla congiunzione di Saturno e Giove prevista per il 1789 deduceva la Rivoluzione Francese e il crollo della monarchia.
I sacerdoti zoroastriani amano ricordare nella loro storia l’apparizione nel 603 a.C. di Saturno, Giove e Marte nello stesso Segno Zodiacale, che doveva provocare la nascita di Cosroe, mentre riproponendosi nel 543 a.C. annunciava la caduta di Babilonia.
Per riprendere il discorso che plasmava in categorie astrologiche il destino di individui, di popoli e di istituzioni, giova puntare lo sguardo appassionato al nereggiare della notte, spiccando dai puntini luminosi le figure tradizionali, leggendo nella loro disposizione celeste la realtà che ci circonda sulla terra. Riflettere sulla botta spietata che ci fu sferrata alla nascita, quando subimmo il contraccolpo terrificante dell’aria che ci gonfiava i polmoni, del latte che scorreva per la prima volta nella gola e ci fecero ressa d’attorno i pollini della stagione, l’atmosfera invernale, primaverile, estiva o autunnale. Questo trauma primario non è forse il sigillo fatale?


Riflettiamo a come in certe antiche pitture il succedersi di stagioni è rappresentato, come nella Torre dell’Aquila al Castello arcivescovile di Trento. E’ una figurazione del Quattrocento boemo, che incomincia dal Sole in Acquario mostrando dame e signori che si lanciano palle di neve sulla soglia del palazzo, mentre un alchimista nella cinta di un giardinetto solleva la fiala e cacciatori con i veltri si avviano per poggi nevosi; continua con il Sole in Ariete, scontro festoso e colorito di cavalieri sotto mura gremite di dame; con il Sole in Toro e dame a passeggio o intente alla semina nei giardini, mentre i villici arano e seminano i fondi; con il Sole in Gemini, stagione amatoria; la dama incorona un signore, un damerino fa la riverenza alla dama incoronata, una coppia si accarezza soavemente e altre si intrattengono tra i fiori mentre in alto la città è stretta fra le sue mura e due coppie pranzano all’aperto accanto a una sorgiva; con il Sole in Cancro si spargono coppie sul basso mentre suonano i musicanti, forse a celebrare le nozze e intanto i villici mungono le mucche e preparano il burro; con il Sole in Leone un giovane offre un piatto alla dama mentre la gente del contrado pesca o sarchia; col Sole in Vergine si radunano i mannelli e in basso un uomo coglie un frutto accanto a due dame che trattengono sul braccio un falcone; con il Sole in Libra ferve la caccia mentre si raccolgono le rape e i contadini incidono i solchi; con il Sole in Scorpione si raccolgono i grappoli e li si pesta nei tini; con il Sole in Sagittario si vedono mandrie di maiali per la campagna e cacciatori incalzano l’orso nero sulla montagna; con il Sole in Capricorno si fa la legna e si trasporta nella città di Trento.
Ma se si vuole afferrare la successione di simboli che rispecchia e precisa nei cieli questa ronda, consiglio di contemplare il cielo dipinto da un sommo anonimo nel 1575 nella Sala del Mappamondo a Villa Farnese in Caprarola.
Raramente fu effigiata con tanta grazia la trafila d’apparenza così gratuita ed enigmatica fissata nell’Alessandria ellenistica.

Si incomincia dall’Acquario, mese dei rovesci di pioggia, visto come Coppiere che versa il torrente dalla brocca fin dentro alla scintillante bocca del Pesce. Acquario campeggia pressoché al centro, sovrastato da Pegaso, che scalciando con lo zoccolo fece scaturire la fonte Ippocrene, mentre ancora più in alto si immagina che le stelle disegnino Andromeda legata alla rupe. I due Pesci si stendono dal fianco di Andromeda al capo di Pegaso. Sotto questo seguito si stende la Balena, fino all’Ariete catturato da Frisso ed Elle baccanti, il cui vello dorato fu appeso nel tempio di Ares in Colchide. A fianco erge i suoi corni il Toro. A loro corona di estende Orione, che entrando nel cielo autunnale pare colpire il Toro; di lui si erano innamorati Apollo e Diana, Sole e Luna e il bel giovane fu sacrificato al loro contrasto, issato tra le stelle. Sopra di lui sta ginocchioni l’Auriga che reca sulla spalla una capretta, Perseo che stringe in mano la testa di Gorgone.
Volgiamo in basso lo sguardo, osserviamo: dal piede di Orione si parte un rivolo di stelle ce precipita nella figura di Fetonte e nella sua quadriga frantumata: è l’Eridano. All’opposto, verso l’alto, splende Cassiopea, la madre di Andromeda e quindi dal Cigno, nel quale si converse Zeus innamorato, dalla Lira all’Aquila in cui si era mutata Afrodite per appartarsi con Zeus, mentre a sinistra si seguono dall’alto in basso Ercole e Ofiuco che regge un serpente: il Serpentario. Scendendo per la Via Lattea, entrano in contatto Scorpione, Sagittario e Capricorno giusto sopra l’Altare. Segue sopra la Via Lattea il Centauro che infilza un lupo, e infine la gran nave Argo, i due Cani: Procione e Betelgeuse che sovrastano Sirio, stella dell’estate più torrida, con sotto il Cane Minore e infine Cancro e Gemelli.
Resta la parte alta sinistra del cielo, l’Idra o Serpente maligno, la Coppa o Cratere e il Corvo. Più in alto si estende Vergine fra Leone e Bilancia e ancor più in alto Orsa Maggiore o Elice con Orsa Minore o Cynosura, sulla quale si orientano i marinai, con l’enorme Serpente delle Esperidi sdraiato fra le due.
Un tempo i padri insegnavano ai figli questo gioco celeste comunicando su quei riscontri la mitologia. I fanciulli imparavano guardando le stelle a conoscere gli inizi delle opere agrarie, a prevedere l’approccio delle piogge al comparire del sole in Acquario, il momento di estate più estenuante allo splendere di Sirio e sapevano che lo Scorpione magione del sole inaugurava la vendemmia e la caccia, destinata questa a scatenarsi sotto il Sagittario.
Veniva naturale ricondurre ciascuno alla sua nascita, a riconoscere in quale cerchia dovesse scegliersi amici e moglie. Quando poi si cadesse in trance, era su nei cieli che ci si recava, fra quelle figure, come ancora oggi avviene alle sciamane coreane che si issano nei cieli in dodici sessioni e ne scendono avendo riportato ordine e avendo celebrato l’incontro di Vega a Altair, che in Cina e Corea un volo di gazze congiunge, avendo infine ottenuto dai signori celesti salute e vittoria.
Ancora ci è concesso di trasvolare in un cielo così popolato, basta un’osservazione attenta degli astri e la conoscenza delle costellazioni greche antiche. I cristiani sostituirono le figure greche con santi e sacri personaggi nel Seicento, ma questa crudele sostituzione non ebbe seguito, ci parlano, ci rispondono soltanto le figure antiche.
Eppure va fatta una premessa: non illudiamoci di accedere così alla verità più stretta. La scienza ci sta squadernando un cielo che non ha più la minima somiglianza a questo, zodiacale. La stessa struttura newtoniana sta crollando in questi ultimi anni. Nei cieli ora si configgono telescopi, li si adopera da postazioni spaziali e tramutano ogni nostra conoscenza. Anzi, l’occhio nudo, al quale si schiudevano gli Zodiaci, è riconosciuto ormai come uno strumento angusto e impedito. Occorre scordarsene, se ci si porta entro la scienza odierna.
Non sto esortando ad oblare le ricchezze favolose del passato astrologico, sto invitando ad acquisire le cognizioni tutte nuove che oramai ci si offrono e ci conducono tra altri misteri.
Occorre porsi domande del tutto diverse dalle antiche. Tornare a riflettere con ostinazione sulle interrogazioni fondamentali. Proviamo a riprendere la questione basilare.
Si contempla il cielo, ma che cosa si scorge? Lassù negli spazi del cielo si cela forse l’origine dalla vita, se ormai si dà per certo che tre miliardi di anni fa piovvero sulla terra da una fonte cosmica ignota i primi aminoacidi, dai quali via via provennero le proteine e si formarono le prime cellule. Sicché nello spazio si cela l’origine della vita: anche per questo verso si è ormai rigettati ai margini estremi della struttura universale, ci sembriamo trascurabili da ogni punto di vista.
Eppure quell’attenzione che emerge in modo larvale ad un certo grado di complessità intercellulare, allorquando il polso rosso di un puntolino indica il primo formarsi dell’occhio, è l’indizio della coscienza senza la quale l’insieme materiale del mondo non sarebbe riconosciuto: non esisterebbe. Gli eventi, diceva Eddington, non accadono: noi ci imbattiamo in essi.
La coscienza ha la sua origine, la sua potenza in una prima emersione, che i taoisti chiavano ‘cielo interiore’, anteriore alla nascita, stato sottile ed invisibile, prossimo all’uno. Pao p’u tzu (283 – 343) ne parò dicendo: ‘Quando si conosce l’uno, tutto è compiuto, chi conosce l’uno, non c’è più nulla che ignori. Chi non conosce l’uno, niente può conoscere. La Via si manifesta nell’uno.
I diversi uno risiedono come nel loro posto proprio, in cielo, sulla terra e nell’uomo. Perciò si parla di tre uno. Il cielo attinge l’uno mercé la chiarezza, la terra mercé la quiete, l’uomo nella riproduzione, gli spiriti nella trascendenza.
Tuttavia l’uomo che sappia coltivare, assicura il maestro taoista, trova nel suo corpo l’uno: ‘A due pollici e quattro decimi sotto l’ombelico’. Dalla contemplazione dei cieli si scende all’interno del corpo immaginale.

Elèmire Zolla, Osservazioni del Cielo
Tratto da Cercare il Cielo, Edito in Torino da Umberto Allemandi & C per Parmalat, Natale 1994

Stampa