I bambini prodigio!

I casi di nascite di bambini prodigio, dotati di facoltà eccezionali e precoci non riscontrabili nei genitori o in altri antenati, hanno messo i biologi in grande imbarazzo; essi hanno cercato di spiegare tali fenomeni attraverso la teoria delle mutazioni o quella dell’atavismo, ma le loro spiegazioni non soddisfano in ogni situazione.

Invece, la teoria delle vite successive può spiegare razionalmente la comparsa di bambini prodigio in famiglie nelle quali nulla faceva presagire la possibilità della loro esistenza. Se si è colta la grande verità alla base della legge di reincarnazione, ossia che l’anima è immortale e trasmigra di corpo in corpo portando con sé le qualità e i difetti acquisiti nelle vite precedenti, è più facile comprendere la nascita, apparentemente insolita, di bambini dotati di qualità geniali in famiglie nelle quali i genitori non escono dalla mediocrità. Non va dimenticato che i genitori forniscono solo il corpo materiale, non l’anima che si reincarnerà; certo, il corpo fisico del neonato beneficia delle caratteristiche fisiche e anche psichiche dei genitori, ma le qualità spirituali sono determinate dalla qualità stessa dell’anima che si incarna, e se un’anima ha già molto vissuto, facendo molte fruttuose esperienze, è comprensibile che il bambino manifesti, fin dalla più tenera età, atteggiamenti particolari corrispondenti al grado di maturità e di evoluzione della sua anima. La nascita di bambini precoci, di geni in erba, si spiega dunque facilmente con il meccanismo della reincarnazione. Questi bambini imparano con disinvoltura, come se in loro si risvegliassero spontaneamente nozioni già conosciute e antiche. Per loro imparare significa piuttosto ricordare, perché conservano ancora vive le acquisizioni delle esigenze precedenti. Questo bagaglio di conoscenze e di spiritualità proprio di ogni anima che si reincarna condizionerà l’evoluzione della nuova vita del reincarnato. Papus ha fatto osservare che la facilità con la quale alcune persone parlano una o più lingue straniere deve essere spiegata tenendo presente la probabilità che queste lingue fossero familiari al reincarnato in una delle sue vite precedenti. Così egli scrive in proposito: ‘E’ raro che un essere spirituale reincarnato sulla terra non sia condotto, da circostanze apparentemente fortuite, a parlare oltre alla sua lingua attuale, la lingua del paese della sua ultima incarnazione. ’

Cicerone aveva già fatto la stessa constatazione, che merita di essere ricordata: ‘Quanto all’origine eterna delle anime, non vedo chi possa dubitarne, se è vero che gli uomini vengono al mondo con un grande bagaglio di conoscenze. Un segno importante di ciò è la facilità e la prontezza con le quali i bambini apprendono queste arti molto difficili, nelle quali vi è una infinità di cose da capire, e questo induce a credere che non siano cose del tutto nuove, ma che, imparandole, non si faccia altro che ricordarle. ’
Lo scrittore Joseph Méry, che credeva fermamente nelle vite successive, ha raccontato alcune delle sue incarnazioni e, in particolare, ha ricordato un episodio in cui egli parlava latino. Sebbene fosse un buon latinista, Méry si dichiarava incapace di tenere una conversazione in latino; un giorno, trovandosi nella biblioteca vaticana, sentì alcuni novizi parlare in questa lingua. ‘Ebbe l’impressione che un velo gli cadesse davanti agli occhi, gli sembrò di aver conversato lui stesso in un’altra epoca con amici che si servivano di questa lingua divina. Intere frasi dalla struttura impeccabile gli uscirono dalle labbra, trovò immediatamente uno stile elegante e corretto; parlò in latino come parlava il francese. ’ A suo avviso, ciò era da attribuirsi solo al ricordo della conoscenza di questa difficile lingua appresa in una incarnazione al tempo di Augusto. La stessa esperienza di reminiscenza del latino, parlato in una vita precedente, fu fatta da Padre A. Gratry quando questi non aveva alcuna conoscenza della legge di reincarnazione. Egli considerò questa facilità di esprimersi in latino un effetto della prima comunione; questa reminiscenza, quindi, è ancora più interessante. Ecco ciò che egli dice in Ricordi della mia giovinezza: ‘Avevo appena intrapreso lo studio del latino. Non dimenticherò mai la notte in cui, improvvisamente, mi fu donato il senso del genio latino. Riflettendo su una frase latina, compresi d’un tratto lo spirito di questa lingua… E, in effetti, i miei progressi furono straordinari: appresi il latino dall’interno all’esterno; mi sembrò di tirarlo fuori dal fondo del mio spirito, dove si era insediato. Per molti anni ho pensato in latino; mi è accaduto di sognare in latino e, in sogno, di tenere discorsi perfetti in versi che una volta sveglio ricordavo. Esprimevo in questa lingua, più facilmente e molto più efficacemente di quanto non facessi in francese, ogni lieve sfumatura dei miei pensieri. ’

Una simile facilità nel parlare una lingua così difficile come il latino, senza averla mai studiata prima, non può avere altra spiegazione razionale se non quella che il soggetto si limita a ricordare una lingua già parlata in un’incarnazione passata. Che il ricordo di questo sia cosciente o inconscio, non modifica il fatto in sé. I principi conosciuti dell’ereditarietà biologica non sono in grado di spiegare questi casi in maniera razionalmente soddisfacente: in famiglia umili e poco istruite, si osserva la nascita di geni di calibro di Roger Bacon, di eminenti filosofi come Auguste Comte, Cartesio, Hegel, Hume, Kant, Spinoza, di scienziati di fama universale come Berzelius, Claude Bernard, Keplero e molti altri; ora, negli antenati di queste persone, nulla faceva prevedere la grandezza di questi geni che hanno dato lustro all’umanità. E’ necessario, dunque, cercare un’altra spiegazione che vada oltre la semplice ereditarietà e la teoria della reincarnazione ci offre una soluzione razionale al problema. La stessa cosa si può dire di un altro aspetto misterioso dell’ereditarietà; si sa che i geni hanno spesso dei figli tarati e degenerati, che non manifestano in alcun modo le qualità eccezionali dei loro genitori. Un tale fenomeno viene spiegato sostenendo che l’espressione di doti geniali esaurisce le riserve vitali dell’individuo, perciò, egli non può trasmettere un valido patrimonio genetico ai suoi discendenti. Questa spiegazione è più che altro una opinione e nemmeno soddisfacente; inoltre, non tiene conto di una particolarità che abbiamo già rilevato, ossia che i genitori non danno l’anima al neonato, ma solo il corpo materiale che servirà da strumento di lavoro all’anima reincarnata. Se l’eredità biologica fosse la sola ad essere attiva, ci si dovrebbe aspettare che i geni diano vita ad altri geni, anzi a super geni, perché ulteriormente selezionati. Invece, la storia ci insegna che, molto spesso, gli uomini illustri hanno generato individui mediocri.

Abbiamo già visto che l’ereditarietà non è in grado di risolvere l’enigma posto dai talenti precoci osservati in bambini dalla mente giovane, non ancora giunta alla piena maturità. Ora illustreremo alcuni esempi tipici di geni in erba le cui doti straordinarie non si riscontrano nelle persone che li hanno generati e non sembrano spiegabili senza ricorrere alla teoria delle vite successive. Incominciamo dai casi celeberrimi di bambini dotati di genio musicale precoce fino al miracoloso.
Haendel compose, all’età di dieci anni, dei mottetti giudicati dagli esperti degni di essere cantati nella chiesa di Halle. Ancora più incredibile è il fatto che Mozart, a quattro anni, era già capace di eseguire correttamente una sonata; egli fece progressi talmente grandi e rapidi in materia di composizione musicale che a undici anni scrisse due operine: Finta semplice e Bastien et Bastienne; la sua memoria era sviluppata a tal punto che gli bastava ascoltare un brano una volta per risonarlo e riscriverlo nota per nota. Questo fu quanto accadde a Roma, dove, dopo aver ascoltato una messa solenne nella Cappella Sistina, il cui segreto musicale era gelosamente custodito, egli la riprodusse integralmente, lasciando stupefatto il maestro di cappella. Da dove venivano le straordinarie doti musicali di Mozart? Certo non solo da suo padre, che era un buon musicista ma non più di altri professionisti di medio livello. Dunque, l’anima di Mozart deve aver scelto come ambiente più adatto per la sua nuova incarnazione una famiglia nella quale poteva sviluppare con maggiore facilità il talento musicale coltivato e affinato nel corso di vite passate. Compiuti i dieci anni, colui che è considerato il gigante della musica, Beethoven, era già un pianista che aveva superato tutte le difficoltà della tecnica e dell’espressione melodica. Ora, chi studia il piano ed è mediamente dotato per quest’arte, conosce le difficoltà di questa tecnica che si arriva a stento a padroneggiare dopo lunghi anni di studio e di noiosi esercizi. Un altro virtuoso, questa volta del violino, Paganini, aveva la padronanza completa del suo strumento fin dall’età di nove anni, quando fu applaudito da intenditori in un pubblico concerto tenuto a Genova. Anche Meyerbeer era naturalmente dotato per la musica e, già all’età di sei anni, dava concerti pubblici molto apprezzati dagli appassionati. Altri due pianisti, Liszt e Rubinstein, possono essere considerati virtuosi nati. A soli quattordici anni, Liszt compose un’opera, Don Sanche ou le Chateau d’amour. A quattordici anni, Rubinstein si esibì a Parigi di fronte ai massimi esperti, suscitando l’ammirazione generale, tutti ne riconobbero il talento precoce e il genio musicale. A proposito di Franz Liszt, non si può fare a meno di citare il caso inquietante, segnalato nel 1937 da Ferdinand Reyna, delle presunta reincarnazione di questo grande virtuoso e compositore individuata nella persona di Mademoiselle Lang Laszlo, la quale, non soltanto possiede un genio musicale ed una virtuosità di esecuzione simili a quelli di Liszt, ma ha anche alcune sue caratteristiche fisiche, come ad esempio, la scrittura. Ma ascoltiamo Ferdinand Reyna nella descrizione intitolata: La strana incarnazione di Liszt. A proposito della statura, del visto e del tocco di Mademoiselle Lang Laszlo, egli dice: ‘Era lo stesso mento caratteristico di Liszt, lo stesso naso aquilino, la fronte spaziosa e gli occhi dallo sguardo profondo che, un tempo, sedussero tante donne. E, soprattutto, quello slancio appassionato, pieno di fuoco romantico, mi faceva pensare al grande virtuoso divenuto poi suocero di Wagner. ’ Dopo il concerto, Reyna si trattenne a colloquio con la giovane esecutrice e, poiché la definiva bambina prodigio, lei rispose: ‘Bambina prodigio? Non saprei. Però ricordo che a sei anni la mia memoria musicale mi permetteva di cantare, ballando, qualunque motivo mia madre avesse suonato, poco prima, al piano. Quando, poi, frequentavo il conservatorio di Budapest, ricordo ancora chiaramente la spontaneità con la quale decifravo la musica dei miei compatrioti e, in particolare, quella di Listz… Dopo aver suonato in molte città, mi stabilii, giovanissima, a Parigi, la città dei miei sogni. ’ Ancora un’analogia con la carriera di Liszt. Durante la conversazione, Reyna notò con stupore una grande affinità tra la mentalità di Mademoiselle Lang Laszlo e quella di Liszt: ‘La giovane si infiammava per gli stessi problemi artistici e spirituali che, un tempo, avevano agitato l’animo del grande musicista ungherese. Le chiesi altre informazioni di grande interesse per me, poi, lei firmò gentilmente il mio taccuino di autografi. Dove avevo già visto quella scrittura? Il giorno seguente, in quell’angolo pieno di un fascino antico, dai rumori ovattati, che è la biblioteca dell’Opera, controllai una per una le informazioni raccolte la sera prima. La concordanza dei dati era stupefacente. La pianista in questione era nata esattamente cento anni dopo Liszt, nella stessa città, si potrebbe dire nello stesso quartiere. ‘Al suo arrivo a Parigi che – lei mi aveva detto – non le era sembrava una città sconosciuta, la giovane, come Liszt, aveva abitato alcune settimane in Rue de Provence. In seguito, confrontai le opinioni espresse dalla stampa sulle doti artistiche di Mademoiselle Lang Laszlo e quelle formulate a suo tempo su Liszt. ‘Il suo tocco raggiunge una potenza non comune nel forte’, ‘molto ardore nell’interpretazione, verve e colore. ’ Altri le attribuiscono una rudezza un po’ barbara e lodano le sue interpretazioni magistrali dei capolavori di Liszt.

‘Era, più o meno, quello che i critici dicevano del grande virtuoso. Ma ciò che più mi stupì, fu il confronto grafologico. La stessa L iniziale, simile ad una chiave musicale, caratteristica della firma di Liszt, compariva anche in quella di Edith Lang Laszlo!
‘Reincarnazione? Un fatto certo: per le donne, Franz Liszt fu la seduzione personificata. Fu il genio per il quale le donne contarono di più. Egli sapeva non solo sedurle, ma soprattutto comprenderle e amarle nel senso più nobile e più pieno. Non c’è da stupirsi, dunque, - se di reincarnazione si tratta – che egli abbia scelto una fanciulla sua connazionale per rivivere sotto il cielo dell’Ile-de-France, in quella Parigi che aveva più cara di tutte le altre città nelle quali era stato. In queste pagine riservate agli aspetti sconosciuti e misteriosi della vita, avevamo il dovere di segnalare questo caso tipico, il cui interesse è accresciuto da una straordinaria somiglianza fisica e dalla presenza di questo ardore artistico che era uno dei tratti caratteristici della personalità del grande compositore ungherese. ’
Questo caso, infatti, merita di essere ricordato perché mostra che il reincarnato conserva e porta con sé il bagaglio acquisito in altre vite.
E’ necessario parlare anche di Sarasate, che a undici anni era già un consumato virtuoso del violino e di Saint-Saens, anche lui virtuoso a undici anni, che a sedici compose una sinfonia? Questi doni non sono frutto di ereditarietà familiare, né di capacità acquisite solo nella vita presente, ma sono apporti che ci vengono da vite passate.
Nel 1900, il professor Charles Richet ha studiato e presentato al congresso di psicologia un fenomeno, il giovane Pepito Ariola, capace, a soli tre anni e mezzo, di suonare melodie al piano e d’improvvisare variazioni. Questo bimbetto, che non sapeva né leggere né scrivere, aveva già composto sei brani di sua invenzione e li aveva suonati davanti alla regina e al re di Spagna. Sintetizzando lo studio dedicato dal professor Richet a questo bambino prodigio, Delanne scrive: ‘Il bambino ha immaginato una diteggiatura speciale: ha sostituito l’ottava con efficaci arpeggi abilmente eseguiti. Quando si ascolta un improvvisatore, prosegue il professore, spesso è molto difficile distinguere il frutto dell’invenzione dalla semplice riproduzione di melodie e frammenti già ascoltati e presenti nella memoria. Però è certo che, quando Pepito incomincia ad improvvisare, non è quasi mai a corto di idee e spesso trova melodie estremamente interessanti che suonano nuove all’orecchio degli astanti. C’è un’introduzione, una parte centrale, una conclusione, e anche una varietà, una ricchezza di sonorità che, forse, stupirebbero se si trattasse di un musicista professionista, ma che diventano assolutamente stupefacenti in un bambino di tre anni e mezzo. ’
E’ impossibile spiegare questo caso con il gioco dell’ereditarietà, mentre, con la legge di reincarnazione, è facile comprendere tale processo: questo musicista – fenomeno ha portato con sé, da un’altra vita, i suoi doni e le sue facoltà straordinarie.
Ne La vita postuma, anche Lancelin riporta molti esempi di bambini prodigi e ritiene che i loro talenti possano essere spiegato solo con il processo di vite successive. Ai casi sopra vitati, egli aggiunge quello della piccola Brard, figlia di un deputato di Pontivy, la quale, a sette anni, eseguiva al piano composizioni di Bach, Haydin e Mozart con una tale perfezione che valenti esecutori non trovavano niente da ridire.
René Guillon, figlio di un semplice impiegato delle poste di Rennes, all’età di sette anni e mezzo componeva ed eseguiva al piano tutta una serie di sonate, fughe e sinfonie senza aver mai studiato composizione. Un caso anche più straordinario è quello di Marguerite Monnot, una bimbetta di tre anni e mezzo che, in occasione di un concerto tenuto a Parigi nel 1911, nel convento di San Giovanni di Dio, suonò melodie improvvisate al piano e all’armonium. Il pubblico rimase sbalordito dalla capacità interpretativa tanto precoce, eppure tanto perfetta e matura, di questa bambina, capacità che non poteva essere spiegata come semplice fattore ereditario. Assolutamente strabiliante, poi, è il caso del piccolo Henri Hainaut, abitante a Parigi, che compose musica perfettamente armonizzata all’età di ventuno mesi!
Negli Stati Uniti, il musicista cieco Toni, a quattro anni entusiasmò il pubblico per il suo talento di virtuoso con la sua interpretazione delle opere dei grandi compositori. Nell’aprile 1921, nella sala Erard di Parigi, fu applaudito un fenomeno di dieci anni, Maria Antonia de Castro, pianista brasiliana di tali capacità che la famosa orchestra delle Société del Concerts Du Conservatoire, ritenuta a buon diritto la prima di Francia, non ritenne di sminuirsi accompagnando il concerti che questa bambina prodigio eseguiva con brio.
Tra i pittori, non troviamo meno bambini prodigio di quanti non ve ne siano tra i musicisti. Il celeberrimo Giotto era un semplice pastore il quale, istintivamente, disegnava con tale naturalezza che Cimabue, vedendolo, lo prese con sé per farne il suo allievo. Michelangelo, a otto anni, possedeva la tecnica della sua arte in modo tanto perfetto che il suo maestro, il Ghirlandaio, dichiarò di non avere più niente da insegnargli. Rembrandt disegnava a meraviglia, per istinto naturale, molto prima di imparare a leggere. Fu all’età di dodici anni che Marcel Lavallard vide il suo primo quadro esposto alla mostra annuale di opere d’arte, tanto la sua tecnica e la sua ispirazione erano perfette. Un altro caso di straordinaria precocità pittorica è quello del giovane van de Kefkhore, di Bruges, un bambino morto nel 1873 all’età di dodici anni e undici mesi lasciando trecentocinquanta tele di notevole interesse: alcuni di questi quadri, dichiarò Adolphe Siret, membro dell’Accademia reale belga delle scienze, lettere e belle arti, avrebbero tranquillamente potuto portare la firma di nomi illustri come Diaz, Salvator Rosa, Corot o altri. Il pittore e critico d’arte Richter, viste alcune di queste tele, si felicitò con il proprietario per la fortuna che questi aveva di possedere un tale numero di quadri, il critico, infatti, attribuiva ai dipinti di Theodore Rousseau e, quale non fu il suo stupore, quando seppe che l’autore era un bambino di appena dieci anni. Questi pittori prodigio, di talento quasi soprannaturale, non possedevano le loro doti di ereditarietà biologica, perciò, anche nel loro caso, la legge di reincarnazione spiega un simile fenomeno meglio di ogni altra ipotesi.
Tra gli scienziati, i letterati e i linguisti, troviamo numerosi esempi di bambini prodigio in possesso di doti di osservazione e di qualità intellettuali da ricercare non in una ereditarietà improbabile, ma in un bagaglio acquisito nel corso di vite precedenti.

La storia ci parla della straordinaria abilità del retore greco Ermogene che, all’età di quindici anni, era già un docente famoso, ricercato per le sue interessanti lezioni. Fu lui che, a questa età, insegnò la retorica a Marc’Aurelio. E’ noto che anche Pascal fu un genio tra i più precoci; infatti, già a tredici anni aveva trovato da solo le trentadue proposizioni di Euclide e pubblicava un trattato sulle sezioni coniche. In questo caso, l’ereditarietà diretta poté svolgere un certo ruolo, perché il padre di Pascal studiava matematica, tuttavia, egli non cercò in alcun modo di spingere il figlio in questa direzione, anzi. Fu così che il bambino fece le sue scoperte da solo, senza l’appoggio paterno. Quindi, bisogna ammettere che sia entrato in gioco un altro fattore, più potente della semplice ereditarietà, poiché quest’ultima può dare la possibilità di svilupparsi in una certa direzione, non la conoscenza intuitiva e quasi preesistente dei fatti e delle leggi matematiche o cosmiche, come accadde a Pascal e a molti altri bambini prodigio. Pierre de Lamoignon, anche lui fin dall’età di tredici anni, aveva la perfetta padronanza del greco e del latino che componeva versi in queste lingue giudicati molto validi dai linguisti; inoltre, era già un conoscitore del diritto e delle lettere.
Ricordiamo ancora il caso, molto più singolare, di Gauss di Brunswick, astronomo e matematico, che risolveva difficili problemi di matematica già all’età di tre anni. L’ingegnere svedese Ericsson fu un tale prodigio nella scienza matematica e meccanica che, a soli dodici anni, il governo lo nominò ispettore del grande canale marittimo, con oltre seicento operai alle sue dipendenze, che egli dirigeva con la massima competenza. Inoltre, egli divenne celebre per molte invenzioni meccaniche. Anche Victor Hugo che, era convinto della realtà della legge di reincarnazione, fu un genio letterario e poetico tra i più precoci: a tredici anni, ottenne il premio di poesia ai Giochi Florali di Tolosa.
Passiamo ora al caso di un bambino poliglotta: William Sidis, abitante del Massachusetts. All’età di due anni, egli sapeva leggere e scrivere perfettamente; a quattro parlava correntemente quattro lingue, a dodici anni fu ammesso dall’Istituto di tecnologia del suo paese. Date le sue vaste conoscenza, la scuola fece un’eccezione, dal momento che vi si poteva accedere solo dopo aver compiuto i ventuno anni. In quel periodo, il giovane Sidis fece una conferenza sulla quarta dimensione davanti ai professori dell’Università di Harward, i quali rimasero stupefatti nel constatare la vastità dell’erudizione, la profondità dei ragionamenti e delle deduzioni di quel piccolo oratore.
Il fisico Young, che formulò la teoria ondulatoria della luce, sapeva leggere a due anni e a otto parlava correntemente sei lingue. Che dire di William Hamilton, bambino così precoce che a tre anni iniziò lo studio dell’ebraico, raggiungendo a sette conoscenze superiori a quelle della maggior parte dei candidati all’’agrégation’. A otto anni egli stupiva i familiari per la sua cultura e per la complessità dei suoi ragionamenti matematici, tanto che un astronomo irlandese che lo aveva esaminato diceva di lui: ‘Non dico che egli sarà, ma che è già il più grande matematico del suo tempo. ’ A tredici anni, questo fenomeno parlava dodici lingue, che aveva appreso per reminiscenza.
La storia di offre numerosi esempi di straordinari geni linguistici: lo scozzese Jacques Christon, già a quindici anni, poteva discutere su qualsiasi argomento, tecnico o filosofico, in latino, in greco, in ebraico e in arabo. La stessa cosa accadde al famoso Pico della Mirandola che, a vent’anni, era ritenuto lo spirito più colto del suo tempo; egli imparò senza sforzo tutte le lingue antiche che sono fonte di tante difficoltà e fatica per gli studenti di materie umanistiche. Questa doti linguistiche straordinarie e precoci, non riscontrate nei progenitori, non si possono spiegare razionalmente se non come facoltà acquisite dall’anima nel corso di molte vite in culture diverse. L’apprendimento e l’immediata padronanza di idiomi così difficili devono essere considerati più reminiscenze di conoscenze già acquisite che il frutto di un’assimilazione rapida e di una memorizzazione stupefacente avvenute in una sola vita. Tali considerazioni valgono anche per il poliglotta moderno Trombetti, che a dodici anni studiava simultaneamente e con profitto il latino, il greco e l’ebraico, mentre conosceva già perfettamente il francese, il tedesco e l’arabo. Nel corso della sua vita, egli acquisì la padronanza di tutte le lingue vive e morte, alle quali vanno aggiunti oltre trecento dialetti orientali. Anche certi calcolatori nati, il cui prototipo è il famoso Inaudi, fanno pensare a facoltà coltivate in una o più vite precedenti, delle quali il reincarnato ha conservato vivo il ricordo e la capacità di utilizzarle in modo spontaneo, inconscio o intuitivo. In proposito, Delanne cita il caso di un calcolatore precoce, ‘Henri Mondeux, nato nel 1826 vicino a Tours, contadino sprovvisto di qualsiasi istruzione che si rivelò nel presto una prodigiosa macchina calcolatrice. A 14 anni, egli fu presentato all’Accademia delle Scienze di Parigi; non possedeva altre facoltà straordinarie. ’

Nel 1947, i giornali segnalarono, in America, la comparsa di una poetessa in erba di sei anni: Jane Reis. Fin dalla più tenera età, questa bambina aveva manifestato straordinarie capacità di espressione poetica e, prima ancora di saper leggere e scrivere, recitava poesie a se stessa e alle sue bambole. I genitori, piuttosto ottusi, non diedero importanza a tali manifestazioni, considerandole ‘cinguettii’ di bambini. Solo in seguito, quando persone competenti ascoltarono la piccola, si meravigliarono delle sue capacità e delle sue doti poetiche. I versi da lei composti vennero allora pubblicati con grandi elogi dalle principali riviste letterarie degli Stati Uniti. ‘Sin da piccolissima’, confessò la madre, ‘Jane non diceva una parola se non riusciva a pronunciarla perfettamente. Noi la sentivamo esercitarsi nella sua stanza. Le sue prime frasi sono state immagini poetiche. Ed ora la magia delle parole agisce su di lei anche più profondamente. A volte, di punto in bianco, ci chiede che cosa significa quella tale parola o frase che abbiamo pronunciato davanti e lei due o tre mesi prima. ’ Come abbiamo appena detto, i primi versi di questa bambina prodigio si sono perduti per colpa dei genitori, ma ora le poesie sono custodite gelosamente e molte sono state già pubblicate. Ecco una esempio della produzione letteraria e dell’ispirazione di questa bambina di sei anni; in esso è descritto lo spettacolo del cielo di notte:
‘Che sente dunque la Luna?
Non posso dirlo perché non posso raggiungerla…
Si direbbe che si senta fragile
Come le ossa delle mie dita gelate.
Il cielo è pallido e grigio,
Si può vedere attraverso…
C’è un mostro lassù…
E… tutti russano i loro sogni. ’

Ecco un altro caso in cui queste sorprendenti doti poetiche non si possono attribuire alla cultura media dei genitori che, inizialmente, non hanno compreso affatto la precoce genialità letteraria della loro bambina; bisogna, dunque, cercare altrove, non nell’ereditarietà diretta, la causa di queste doti sorprendenti. In proposito, la reincarnazione ci fornisce una spiegazione plausibile e razionale di questa apparente precocità che, più probabilmente, è u risveglio di doti e facoltà coltivate nel corso di incarnazioni precedenti.
Potremmo allungare di molto questo elenco di bambini prodigio dotati di capacità che non si possono attribuire ad un’eredità biologica di loro genitori, ma questi pochi esempi possono già illustrare a sufficienza la nostra tesi. Va da sé, se a sostegno della teoria della reincarnazione potessimo portare solamente questi casi di bambini prodigio, non sarebbero sufficienti, ma questo non è che una maglia in più della catena delle numerose prove a favore della realtà delle vite successive e della necessità per l’anima di trasmigrare infinite volte per giungere alla spiritualizzazione finale.

Edouard Bertholet, La Reincarnazione nel mondo moderno; Edizioni Mediterranee, Roma