I 7 passi del Buddha!

‘Appena nato, il Bodhisattva posa i piedi sulla terra ‘piana’ e, rivolto verso il nord, fa sette passi, protetto da un parasole bianco.

Osserva all’interno tutte le regioni e dice con la sua voce da toro: ‘Sono il più alto del mondo, sono il migliore del mondo, sono il primogenito del mondo, questa è la mia ultima nascita; per me non vi saranno ormai più nuove esistenze.’

Questo aspetto mitico della nascita del Buddha viene ripreso con alcune varianti nella letteratura ulteriore delle Nikàya Agama e dei Vinaya e nelle biografie del Buddha. In una lunga nota della sua traduzione dei Mahàprajnaparamitasastra di Nàgàrjuna, Etienne Lamotte ha raggruppato i testi più importanti: il Buddha fa sette passi in una sola direzione, il nord, o un quattro o in sei, o in dieci direzioni; fa i passi con i piedi posati sulla terra ‘piana’, o stando su un loto o un’altezza di quattro pollici. La frequenza del primo motivo – i sette passi fatti in una sola direzione, il nord – ci induce a credere che le altre varianti (le quattro, sei o dieci direzioni) siano più tardive, dovute forse all’inserimento di questo tema mitico in un simbolismo più complesso.

Lasciamo da parte per ora l’analisi delle differenti maniere con cui il Buddha si volge al nord (con i piedi posati a terra o stando su un lato o in posizione planante) per occuparci del simbolismo centrale dei sette passi. Studiando questo tema mitico Paul Mus ne ha messo in evidenza la struttura cosmologica e il significato metafisico. Infatti i sette passi portano il Buddha alle sommità del mondo cosmico. L’espressione ‘io sono il più alto del mondo’ non significa altro che la trascendenza spaziale del Buddha. Egli ha raggiunto ‘la cima del mondo’ attraversando i sette piani cosmici che corrispondono notoriamente ai sette cicli planetari. Anche il monumento conosciuto sotto il nome di ‘pràsàda a sette piani’ simboleggia il mondo culminante nel nord cosmico, dalla cui cima si tocca la terra suprema del Buddha.
Il mito della nascita esprime con la più netta precisione che, appena nato, il Buddha trascende il cosmo e abolisce lo spazio e il tempo (diventa ‘il più alto’ e ‘il primogenito del mondo’). Il simbolismo della trascendenza è messo in luce dalle diverse maniere in cui il Buddha fa i sette passi. Sia che non tocchi il suolo, sia che dei loti germoglino sotto i suoi piedi, sia che cammini ‘sul piano’, egli non è insudiciato da nessun contatto diretto con questo mondo. Riguardo al simbolismo dei piedi posati ‘sul piano’, Burnouf aveva già citato un testo buddistico che Mus riprende e commenta: ‘Dove avanza il capo del mondo, i luoghi bassi si alzano e i luoghi alti diventano uniti…’
Sotto i piedi del Buddha la terra diventa ‘liscia’, cioè i volumi sono ridotti e la terza dimensione abolita: espressione simbolica della trascendenza spaziale.

L’interpretazione metafisica del simbolismo della trascendenza spaziale è portata ai suoi limiti estremi dalla speculazione buddistica, ma tale simbolismo non è evidentemente una creazione buddistica. Il trascendimento del mondo mediante l’elevazione al cielo era già conosciuto in tempi prebuddistici. ‘Il sacrificio, nel suo insieme, è la nave che conduce al cielo’. Il meccanismo del rituale è una durohana, una ‘ascesi difficile’. L’officiante sale i gradini del palo del sacrificio e, giunto alla sommità, stende le mani (come un uccello le ali!) e grida: ‘Ho raggiunto il cielo, gli dèi; sono diventato immortale!’
‘In verità, il sacrificante diventa una scala e un ponte per raggiungere il mondo celeste.’ In questi testi è evidentemente espressa la credenza nell’efficacia magico-religiosa del sacrificio vedico; non è ancora ‘l’ascesa al di là’ del cosmo di cui parla il tema buddistico della natività. Nondimeno è importante sottolineare l’analogia tra i passi del Buddha e i ‘gradini’ del palo del sacrificio che l’officiante sale fino in cima. Nei due casi il risultato è equivalente: è aggiunta la cima culminante dell’universo, che equivale al nord cosmico o al ‘Centro del Mondo’.

L’attraversamento dei sette cieli da parte del Buddha per raggiungere ‘il punto più elevato’ – cioè la sua ascesa attraverso i sette piani cosmici, corrispondenti ai sette cieli planetari – è un tema che si inserisce in un complesso simbolico-rituale comune all’India, all’Asia centrale e al Medio Oriente antico. Abbiamo studiato questo sistema di credenze e di riti del nostro Sciamanismo, a cui ci permettiamo di rinviare il lettore.
Osserviamo soltanto che i ‘sette passi del Buddha’ sono analoghi all’ascesa al cielo dello sciamano siberiano per mezzo delle tacche praticate sulla betulla cerimoniale (sette, nove o sedici tacche che simboleggiano i sette, nove o sedici cieli), oppure alla scala a sette gradini salita dall’iniziato nei misteri di Mitra. Tutti questi riti e miti hanno una struttura comune: l’universo è concepito con sette piani sovrapposti (cioè sette cieli planetari); la sommità può essere costituita dal nord cosmico, dalla stella polare e dall’empireo, che sono formule equivalenti dello stesso simbolismo del ‘Centro del Mondo’; l’elevazione al cielo più alto, cioè l’atto di trascendere il mondo, avviene vicino ad un ‘centro’ (tempio, città regale, ma anche albero sacrificale equivalente all’Albero Cosmico, palo del sacrificio ammilato all’Axis Mundi, eccetera) poiché proprio in un ‘centro’ avviene la rottura dei livelli e quindi il passaggio dalla terra al cielo.

Il tema della nascita del Buddha rappresenta certamente una reinterpretazione del simbolismo arcaico per esprimere la trascendenza. La principale differenza fra i sette passi del Buddha e i rituali bramanico, siberiano o mitriaco consiste nel loro orientamento religioso e nelle loro diverse implicazioni metafisiche. Il mito della nascita esprime il trascendimento di questo mondo sudicio e doloroso da parte del Buddha. I rituali bramanico e sciamanico mirano a un’ascensione celeste destinata a far partecipare al mondo degli dèi e ad assicurare una condizione eccellente dopo la morte, oppure mirano o ottenere una grazia dal Dio Supremo. L’iniziato ai misteri di Mitra intraprende simbolicamente l’attraversamento dei sette cieli per ‘purificarsi’ dalle influenze dei loro pianeti tutelari e per elevarsi fino all’empireo. Ma la struttura di tutti questi ‘motivi’ è identica: si trascende il mondo attraversando i sette cieli e raggiungendo il vertice cosmico, il polo.
Come osserva Paul Mus, nella cosmologia indù il punto da dove è iniziata la creazione è il vertice: ‘La creazione è avvenuta gradualmente al di sotto di esso, attraverso tappe successive.’

Il polo non è soltanto l’asse dei movimenti cosmici, è anche il luogo più ‘vecchio’ perché proprio da lì il mondo è venuto all’esistenza. Per questo il Buddha grida: ‘Io sono sulla cima del mondo… Io sono il primogenito’: toccando il vertice cosmico il Buddha diventa contemporaneo dell’inizio del mondo; ha abolito il tempo e la creazione e si trova nell’istante atemporale che precede la cosmogonia. Si tratta quindi di un ‘ritorno all’indietro’ per restaurare lo stato primordiale ‘puro’ e incorruttibile perché non ancora inserito nel tempo. ‘Ritornare all’indietro’, toccare il punto più ‘vecchio’ del mondo equivale ad abolire la durata, ad annullare l’opera del tempo. Proclamando di essere ‘il primogenito del mondo’ il Buddha proclama la propria trascendenza in rapporto al tempo, proprio come dichiara di aver trasceso lo spazio giungendo ‘alla cima del mondo’. Le due immagini esprimono un superamento totale del mondo e la restaurazione di uno ‘stato assoluto’ e paradossale, al di là del tempo e dello spazio.
Osserviamo che non soltanto la cosmologia indù fa iniziare la creazione dal vertice. Secondo le tradizioni semitiche il mondo è stato creato partendo dall’ombelico (immagine del Centro); le stesse idee si ritrovano altrove. Il ‘Centro del Mondo’ è necessariamente il luogo più ‘vecchio’ dell’universo. Ma non bisogna dimenticare che, nella prospettiva dei simbolismi di cui stiamo parlando, la ‘vecchiaia’ significa il momento in cui il mondo ha cominciato a svilupparsi, quindi il momento in cui il tempo ha fatto irruzione; in altri termini, la ‘vecchiaia’ è una formula del tempo primordiale, del ‘primo’ tempo. La ‘primogenitura’ del Buddha è un modo per dire che egli esisteva già prima della nascita del mondo, che ha visto il mondo venire all’esistenza e il tempo fare la sua comparsa.
D’altra parte sappiamo che le ascensioni rituali al cielo avvengono sempre in un ‘centro’. Si ritiene che l’albero sciamanico si trovi al ‘Centro del Mondo’, perché viene assimilato all’Albero Cosmico; in India il palo sacrificale riproduce l’Axis Mundi. Un simbolismo analogo è attestato nella struttura stessa dei templi e delle abitazioni umane.

Tutti i santuari, i palazzi, le città regali e, per estensione, tutte la case sono simbolicamente situate al ‘Centro del Mondo’; ne consegue che in una qualsiasi di queste costruzioni è possibile la rottura dei livelli, è contemporaneamente possibile la trascendenza spaziale (la restaurazione dell’istante primordiale in cui il mondo non era ancora venuto all’esistenza). Questo non ci può sorprendere poiché sappiamo che ogni abitazione umana è una imago mundi e che ogni costruzione di una nuova casa ripete la cosmogonia. Insomma, tutti questi simboli collegati e complementari presentano, ciascuno nella propria prospettiva, uno stesso significato; l’uomo può trascendere il mondo: spazialmente andando, ‘verso l’alto’, temporalmente andando ‘a ritroso’, ‘all’indietro’. Trascendendo il mondo l’uomo restaura una situazione primordiale: cioè la compiutezza dell’inizio del mondo, la perfezione del ‘primo istante’, quando nulla era stato ‘insozzato’, nulla era stato ‘logorato’ poiché il mondo era appena venuto all’esistenza. Con mezzi molteplici e, partendo da punti di vista differenti, l’uomo religioso si sforzava sempre di rigenerarsi, di rinnovarsi restaurando periodicamente la ‘perfezione degli inizi’, cioè ritrovando la fonte prima della vita, quando la vita, come tutta la creazione, era ancora sacra perché era appena uscita dalle mani del Creatore.

Mircea Eliade, Miti, sogni e misteri, Rusconi 1974